mercoledì 25 luglio 2012

25 luglio, Day 1. Turkishizzati, ovvero "Mutfakta Kim Var?"

    Dopo una serata divisa tra BorderLand, Imbarchino, zanzare e racconti di viaggi iper-partecipanti, ci si addormenta nel cuore della notte e ci si risveglia prima ancora dell'urlo della sveglia. Sgombrata la camera con un fagotto di lenzuola mi dirigo in reception per salutare l'ultima volta la A217 chiedendomi se la rivedrò. Una tirata in largo anticipo verso l'aeroporto con rassicurazioni fraterne, un caffè al bar e l'arrivo di Marta mi sorreggono nell'attesa estenuante dove riesco ad avere la fortuna di avere biglietti stampati male (un triplo biglietto marcato “Dorigotti”) e l'esplicita richiesta della marca da bollo da 40,29 euro da parte del poliziotto (l'unica vittima della legalità?).
    Una correzione di fortuna del biglietto errato da Istanbul a Kigali e ci s'imbarca con un bagaglio a mano da 24 chili prendendo il volo alle 15.12. La fame è straziante, ma grazie a Dio la hostess ci porta i menù della specialità on-board “Mutfakta Kim Var”, ovvero “chi cucina o è in cucina oggi”? Come antipasto un pacchetto di nocciole all'ombra di una enorme nuvola a forma di fungo atomico ed il display che recita 1770km a destinazione. 
    Si provano le cuffiette in set da viaggio, così simpatiche ma accompagnate da una infelice radio turca intervallata a film pseudo-mitologici, mentre il carrello delle bibite scivolante per il corridoio ci nutre e disseta come asceti nel deserto. Petto di pollo turkish, improbabili tortelli ai formaggi “stile italiano”, tortino al cioccolato di notevole peso specifico e lattina di birra a bordo ci fanno sprofondare in un sonno profondo post-pappa, fino a che gli occhietti non si risvegliano sul Bosforo laddove terra e mare si fondono con fare affascinante. Una pisciatina in fase di atterraggio, le cinture ben strette e si arriva ad Ataturk ove il caldo umido mischiato ad un vago odore di grigliata e spezie ci accoglie oziosamente. Scopro che Yuri Chechi ha fatto un gran casino con il mio bagaglio imbarcato, me lo scarrozzo fino al desktop hotel service e, dopo aver pagato 4 euro un caffè single-shot da Starbucks, i musoni della Turkish Airlines ci dirigono all'albergo.
    Venticinque chilometri e venti euro di taxi diviso due per recarci al centro città, dove per caso o quasi ci imbattiamo nella Moschea Blu, favolosa architettura muslim con reparti per uomini, donne e turisti ben divisi. Apoteosi fotografica e chiacchiere con turchi locali, gentili e curiosi di vedere italiani a spasso per la moschea e sciorinanti un improbabile inglese dall'accento esotico. 
    La fame ri-morde, chiediamo consiglio ad un ragazzo dall'inglese questa volta più che intellegibile che propone il “Doy Doy”, proprio oltre Arasta Bazari. Si va per intuito fino ad un altro simpatico signore che si dice nipote del proprietario, marinaio imbarcato in sud Italia e ben felice di darci indicazioni per il locale più buono e conveniente di Istanbul (a suo sincero avviso). Il posto è effettivamente favoloso, con una terrazza spaparanzata sulla Moschea Blu e prezzi abbordabili. Si provano tutte le specialità “suggerite da Chiara”, Irene dixit, soddisfacenti la nostra fame da lupo della steppa.
    Scopriamo faticosamente il cambio lira turca/euro mentre il canto religioso dal minareto s'espande per tutta la città e 5 gabbiani volano ininterrottamente in circolo sulla cupola della Moschea. Un giretto random per le viette tra musica dal vivo tradizionale ed odori di salsedine grigliata nell'aria, che ci spinge naturalmente ad una piazzetta in pieno stile arabeggiante piena di gattini, donne velate ed il dervis cafè, ove si possono gustare decine di aromi per far bollire il nostro narghilè post-abbuffata.   Gran fatica alzare le chiappe dalla sedia col fumo lieve dell'ozio che sale insieme ad una leggera allegra sonnolenza aspirata dalla sacred pipe turca! Un paio di orette e chiacchiere con un ragazzo turco intento a rimpolpare la carbonella ogni 5 minuti per offrirci la massima qualità del suo lavoro di venditore di fumo, qualche info sul mercato delle erbe e spezie, ed infine la contrattazione con il taxista per il viaggio di ritorno all'hotel aeroportuale. Paghiamo in due valute un testardo taxista non dedito allo sconto per studenti, che ci saluta con un colpo di clacson mentre porta via la sua FIAT -forse una “Marea” versione turca- più ricco e contento che mai. 
    Doccia ultra necessaria causa appiccicorio alla pelle tipo “viscida salamandra”, post su internet e nanna nanna. Per oggi può bastare, direi. 


Irene Dorigotti @ the Blue Mosque, 2. Foto dono di Maichi-bu-ntu Pasquale, P&C2012.