domenica 19 agosto 2012

18 agosto, Day 25. Mutzigare dans la ville.

    Dopo aver parlato di spiriti cacciati dalla bocca di stregoni la notte può essere un po' suggestionata. Per fortuna la stanchezza supera ogni altra cosa, e dormo come un sasso fino alle 8, svegliandomi per fare i back-up, dare un'occhiata agli scritti, scoprire che la stanza mi è stata davvero offerta per 2 notti, fare lo zainone con il quale vado all'ufficio della Belvedere Lines a comprare il ticket per Kigali a 3000rwf.
   Mi dirigo al mio baretto di fiducia a fianco della Adepr, dove cercherò di parlare ancora qualcuno prima di partire alle 15.30. Nel bistrot comunico in inglese con un simpatico ragazzino probabilmente figlio della proprietaria che mi porta il Nescafé -tenuto da parte ieri pomeriggio- e va a prendere del pane per farmi dejeuner.
   Ripenso alle battute fatte ieri sera con i Pasteurs ed ammiro l'ironia di alcune figure che, avendo viaggiato in diversi paesi del mondo, sono consapevoli delle molteplici differenze umane dall'effetto spesso esilarante. Per esempio uno dei Rev. si meravigliava di non poter indossare jeans per predicare in alcune zone dell'Africa fuori dalla città, considerati volgari stracci da cowboy (a cui suggerisco la prossima volta di dire: “ma questi sono i Jeans di Jesus! Anche Jesus indossava i Jeans”, con grandi risate del Pasteur); un altro Rev. del fatto che avere il cappello in chiesa fosse grave peccato in certe campagne rwandesi, follia per tutti i presenti -ma non per i contadini-; infine, il più giovane si soprendeva del fatto che urla ed estasi carismatiche non sono proprio la nostra idea di sanità mentale e, soprattutto, che molti italiani possono vivere tranquillamente concedendosi la Messa di Natale e nulla più.
   Scoprire che c'è qualcosa oltre la fede totale incondizionata del proprio orticello, l'ABC del relativismo, riesce ancora a schockkare qualcuno. E non solo in Africa, ovviamente.
      La mia colazioncina continua con del latte caldo per stomaci di ferro e del pan carré. Gironzolo dopo aver fatto quattro riprese in un preaching a due tradotto dall'inglese, con lo sportivo REV. kenyota in gran forma; poi mi sposto e faccio una telefonata skype in mondo visione con tutti i bimbi curiosi di vedere un laptop parlante. Gioco a tris nella sabbia con tappi di bottiglia piegati, e sempre nella sabbia mostro all'informatore che Greenwich non è sul nostro fuso orario, mentre il Rwanda incredibilmente lo è. Gironzolo ancora, stanco dei due giorni pieni di misticità, e visito le cucine dove tutte le donne, intente a pelare patate e banane, sono diverttite dal muzungu che fa delle foto senza capirne il perché.
     Parlo con una ragazza di 22 anni, C., l'unica a dire due parole in inglese, vivamente sorpresa del fatto che in Italia siano ben pochi a sposarsi intorno alla sua età. Ovviamente per lei, come per tutti i rwandesi, tutte le persone in tutta Europa sono sfacciatamente ricche, compreso il muzungo che le sta di fronte. Io penso alla mia borsa di studio millesimata e penso: magari fosse vero!
     Attendo il pranzo come non mai, ma non volendo ancora ripropormi i bis forzati degli scorsi giorni, mi sforzo di aspettare la fine di un'interminabile conferenza sulla vita di coppia e l'accrescimento del sé con esplosioni di performances personali piene di urla.
     L'ultimo pranzo e le ultime chiacchiere con il REV. di Nairobi, poi prendo il mio zainone e sotto una pioggia freddina con vento forte -tipo rifugio in alta quota, ma che diavolo succede?- mi dirigo al bus tutto infradicito e con l'umidità nelle ossa. Qui aumento il mio dizionarietto kinya chiedendo a tre bambini di tradurmi delle frasi basilari e qualche vocabolo dall'inglese.
    Viaggio interminabile sognando le lucine di Kigali nell'oscurità del cielo, schiacciato nel posto dietro il guidatore e con lo zaino a rubare spazio persino per respirare. A Remera scendo e prendo una moto poi, arrivato davanti il cancello, chiamo Marianne che mi viene ad aprire 10 minuti dopo accompagnata da Gonzagh.
   Posso finalmene farmi una doccia per la salvezza non dell'anima ma dell'igiene personale, con a seguire ennesima moto per andare a casa di Juventine dove si trovano già gli altri italian and rwandan friends: la cena è ottima, con un principio di Mutzig da consumare piano piano ingurgitando inzoga senza ritegno. Le discussioni passano da tranquille/seriose riguardo attuali temi della politica, a stereotipi rwandesi sulle donne della campagna (stupide e ciondolanti come les vaches che allevano), ad un momento di canti in kinya supportati da battiti di mani e cavatappi su vetro di bottiglia. Una traduzione cantata seppur stridula de “le bionde trecce gli occhi azzurri e poi” doppiata da Juve, per la buon'anima di Lucio Battisti e de ”La canzone del sole”, introduce la serata in un lento degenero di idiozie divertenti.
Usciamo pour dancer in un locale tamarro fighetto di Kigali, il “BCK”, che con gran fantasia prende il nome dalla banca sottostante. Mutzig a fiumi e tormentoni come “It's impedith!” e “it's inguardabol!” rallegrano gli animi ed il cuore più delle urla carismatiche, monoteiste e monotematiche di questi tre giorni passati. Sfilano balli à la rwandaise e molesti interpreti si uniscono a ragazzine in cerca di esperienze muzungu e, dopo una gran cagnara, la via del ritorno in moto dei supergiovani italiani ciondolanti e raffreddati costa 1300rwf.
    Arriviamo al portone cotti ed esausti, mentre silenziosamente ma esplicitamente Marianne ci apre ben risentita dell'ora mattutina con il moetzin ch'inizia a cantare proprio il quel preciso istante. La notte sotto la zanzariera annuncia un inizio di strisciante febbriciattola che la mattina dopo diventerà un enorme malditesta ed infine una influenza. 
 


    Non vi preoccupate, il Dorigatto continua a sfrecciare per le strade di Kigali. Foto del Maichi-bu-ntu'12.