Dormo ben poco,
rimanendo con il netbookino ancora aperto ed il diario di bordo in
fase d'annotazione. Poi mi alzo senza troppa fatica e comincio ad
impacchettare lo zaino. Il mio motard
arriva alle 5.15 del mattino
spaccando il minuto: chiudo il pc, Sexebeh mi accompagna al cancello
e poi si va dritti dritti al Nyabugogo Taxi Park per il bus delle
6.00 diretto a Nyagatare. La mattina è molto fresca e la velocità
della moto non aiuta di certo a fare abbassare la mia pelle d'oca.
Poco prima di arrivare al piazzale noto dal sellino del passeggero un
tizio cadere giù da un camion di fronte a noi, carico di un grosso
sacco bianco, alla cui vista il motociclista commenta con la pronta
risposta: “c'est un voleur!”.
Sceso
dalla moto e pagata la cifra contrattata ieri pomeriggio con il
nostro domestico, mi ritrovo ad essere l'unico bianco, solo e
stracarico in una stazione deserta se non per poche facce poco
raccomandabili. Cercando la compagnia Belvedere
sono braccato dalla concorrenza che vuole vendermi biglietti; prima
ancora che il sole sorga mi becco del muzungu in
un piccolo vicoletto che imbocco per fare colazione -nell'unico posto
illuminato del piazzale- cagandomi un poco e temendo di beccare altri
voleurs, anche se non
cascanti necessariamente da un camion in corsa.
Entro
con passo deciso, prendo due sambussa,
un Ikivuguto e una
stopposa cake per
arginare gli effetti del latte intero coagulato. Pago ed esco con i
miei sacchettini dritto dritto alla compagnia di fronte. M'assicuro
della direzione del bus e prendo il primo posto, al sicuro dentro il
bidone di ferro e ruote che mi porterà a Nyagatare. Dopo avermi
chiesto solo 4 volte il biglietto, ecco si parte semi-vuoti per poi
riempirsi piano piano fino alla totale congestione nelle fermate che
seguono.
Stringendo
lo zaino sotto le gambe mi concedo qualche minuto di sonno sparso: di
certo non è un viaggio di lusso, ma semmai un poggiare il culo sul
sedile ed aspettare 4 ore. Alle 9 e 40 ecco che riconosco la scritta
Nyagatare su un presunto negozio di computer con insegna dipinta a
mano rappresentante un laptop con la scritta irregolare HP. Scendo
con le gambe di legno, cerco di orientarmi e riconosco il New
Savannah della scorsa settimana.
Prendo
la via per l'église
mattacchiona mangiando l'ultimo sambussa riempito con un intero uovo sodo e finendo il cartoccino di latte
cagliato. Arrivo poco prima delle 10, trovo il mio informatore
Faustin e decido di cambiarmi seguendo il consiglio di Gertrude.
Effettivamente ciò ha un buon effetto, contando anche che da lì a
poco mi presento ad una sala di circa 400 persone, in francese,
tradotto in kinyarwanda.
Mi sorprendo di non battere ciglio, di alzare la mano e salutare
tranquillo l'assemblea, come se l'avessi fatto un centocinquanta
volte e non una, in queste circostanze almeno. Comincio a scattare
foto e girare video soprattutto durante le estatiche exortations.
Faccio due parole col pastore responsabile di quella zona su questioni
extra-dottrinali, le uniche ad interessarmi, il quale mi fa conoscere
per flusso di pensieri e domande una donna che profetizzò
all'ex-presidente, nel suo ufficio e con un rappresentante legale,
avvenimenti tragici poi ben conosciuti, già nel 1986. Sono davanti
ad un segreto che mi viene rivelato in tutta calma e forse al livello
di una Bernadette. Qui i miracoli, veri o presunti, fanno parte della
vita di tutti o molti e sono del tutto normali.
Cerco di criticare in maniera gentile alcune conclusioni affrettate o
ritenute del tutto imprescindibili -quasi tutte in realtà-
ricollegate solo ad un libro, che potete immaginare quale sia.
Quando
la fame mi assale prendo un latte caldo ad un baretto non lontano
-l'unica cosa disponibile tranne la fanta e l'acqua-; poco dopo sono
invitato a mangiare con le figure istituzionali più autorevoli, e
devo fare il bis nolente.
Mi raggiungono Ilaria e Paolo, ed anche loro devono dedicarsi a
ri-mangiare dopo avere appena finito di pranzare.
Il
pomeriggio continua con canti, coreografie e musiche in basi midi
di gusto over-pacchiano.
Faccio foto e video aspettando momenti di carismaticità, ovvero gli
show personali dei
pretoni che potrebbero rifare i Robinson per
il loro umorismo e le loro faccette da furbetti simpaticoni. Valanghe
di versetti per ogni minimo aspetto della tua vita, tradotte
simultaneamente da un addetto incaricato apposta. Un tizio col
cartellino “Husher” gira a controllare che tutto sia come
Dio comanda, e tra prediche
performative, canti e tutto il resto arriva la sera.
Rimango
solo e ceno con i Pasteur più potenti, poi l'informatore mi manda in
una pensione non troppo lontana in cui realizzo di essere esausto e
di dovermi sforzare a resistere ancora un giorno per raccogliere
materiale utile. Spero in un miracolo, qua dovrebbero essercene...
Niente paura, qui anche i pesci in salamoia sono benedetti. Al massimo il Normix benedirà anche il vostro stomaco. Foto del Maichi-bu-ntu Mihayiri Pashcal.