giovedì 4 ottobre 2012

3 ottobre, Day 71. Nuovo repertorio per un nuovo moetzin.

     I miei panni ad asciugare al sole africano sopra un muretto, su cordicelle sparse qua e là per un giardinetto, su ogni spuntone uscente da un muro...ovunque, insomma. Spero di ritrovare tutto perché già le cose che ho sono davvero poche: ho fatto il conto di ogni singolo abito, ma temo che mi toccherà controllare anche il numero dei calzini.
     Colazione nella bottega del quartiere con latte cagliato e chapati caldi, amadazi per festeggiare ammirando la preparazione dei prodotti locali con acqua, farina, uova e un po' di cipolla. Ieri sera non ho fatto cena, questa mattina il gallo ha cantato alle 6 in punto con l'arrivo del sole e alle 4 del mattino ho sentito il moetzin cantare (un motivo però differente da quello di Sonatube: repertorio differente?). Di certo ho bisogno di rifocillarmi.
     Vado alla biblioteca nazionale dagli enormi vetri a specchio sulla facciata e 10 operai nell'intento di pulirli con lunghi bastoni. Entro, e scopro che la tessera per stranieri costa ben 100,000frw per un anno, internet 5000 rwf al mese e per di più non si può parlare in nessun luogo dell'edificio. Scappo via dalla malsana offerta inculante e vado al Magda, distante soli 500 metri per un french press small e connessione illimitata a soli 1000 rwf e rotti. Preparo l'intervista del pomeriggio, tiro giù considerazioni all'alba dei 22 giorni rimanenti, parto in quinta per la raccolta del materiale, faccio una back-uppata in tutte le salse possibili immaginabili dei documenti ed uso le batterie d'emergenza+l'ultra-pazienza a dosi extra.
     Dopo un croissant dolce ripieno di carne tritata e cipolla spacciato per specialità della casa -il piatto più economico- e la lotta con il ketchup per irrorare il mio contorno di patatine fritte, mi dirigo a pagare la somma muzunga.
     Una breve pausa casalinga con Silvestro per suonare qualcosa, poi si prende lo zaino e dritti a fare ricerca nel quartiere. Due ore d'intervista decisa, con una sorta di focus group di sei persone a funzione di testimone, curiosi, partecipanti e uditori a farne da cornice.
    Finisco alle sette di sera ed esausto cerco di tornare a casa dove suono altre tre ore per rilassarmi con un pubblico piccolo, cangiante e di passaggio nella casa di K. Si esce a cercare da mangiare alle 10 di sera con gran difficoltà. Nel quartiere i buffet sono deserti, o quasi finiti; rimangono chapati freschi, ma pur sempre chapati (basta!).
     Nasce il tormentone: “Perché hai bevuto ikivuguto in una boutique alle 22.30? Di sera? C'est la follie! Non è normale, la gente parla, nel quartiere...parla!”. Io bevo il mio latte cagliato sul posto, me ne frego, sono troppo affamato. Dal momento che intervisto pluri-miracolandi ogni giorno ed è del tutto normale, perché bere yogurt la sera è bizzarro? Cerco di farmelo spiegare, ma una vera ragione non c'è, o non è facilmente afferrabile. Cosa fare e cosa non fare, come, quando e cosa mangiare: la normalità è qualcosa di culturale. Bella scoperta dell'acqua calda.
     Si torna a casa, si scherza ancora sulla faccenda Ikivuguto e crollo subito dopo essermi lavato le zanne col dentifricio al mentolo di K.




    Cantieri africani. Forse è meglio fare i domestici? Maichi Ntwari Pashcal.

2 ottobre, Day 70. Leoni, gazzelle e chitarre africane.

    Alle sette iniziano battiti incessanti di pugni su una costruzione dove le mura di fatto non esistono: solo compensati e vetri leggeri, rotti e sporchicci. Ci si sveglia, volente o nolente, ben prima della sveglia desiderata trovando, nel salotto rusticamente arredato con sculture congolesi, 7 persone la cui funzione mi è tuttora sconosciuta. Non so perché o per come, ma la situazione è questa: a metà tra un bistrot et une èglise affolata, la mia cameretta diviene un porto di mare.
     Do i miei vestiti da lavare (post un mese di pensieri dedicati ad altro), poi con K. usciamo a prendere la famosa chitarra africana, più rara di un leone rwandese. Niente di che, ma comunque suonabile con accordatore pro e plettro durissimo: ringrazio il produttore musicale e torno con il trofeo a casa. Passiamo con Marvin a prendere dell'ikivuguto e chapati in un baretto sulla strada, dirigendoci dunque alla base dove si suona un po' mangiando i piatti nazionali rwandesi.
     Scappo in centro per poter lavorare al progetto da presentare a fine mese, ai nuovi blog in cantiere e tirar giù idee per le interviste programmate del pomeriggio. Mi piazzo al Bourbon, sulla grande poltrona in stile muzungu spremendo le meningi tutto il tempo necessario. Cerco con estrema  difficoltà una pila da 9 volts per l'accordatore più colorato d'Africa dans le centre du ville ed a seguire prendo una moto dritto a Nyamirambo per fare ricerca. 
    La solita discesa attraverso le baracche, attorniato dalle solite grida “muzungu!”, arrivando alla solita chapel di lamiera dove vengo accolto da un responsabile che mi porta nell'ufficio del pastore. Quest'ultimo m'informa del suo incontro col responsabile legale e mi reindirizza verso una persona che parla maluccio il francese ed un'altra che intervisto con l'apporto di J. (chiamata appositamente pour moi).
      Faccio un'intervista ancora degna di una puntata da documentario sui misteri africani ma ben più seria: tre ore di sudore mentale, dopo le quali torno finalmente a casa a suonare per altre tre ore con la famosa chitarra africana di contrabbando.
     Con K. in serata si parla dell'expo, dei dubbi, delle cose ancora da fare; si scende all'atelier, si passa dal produttore nel mio nuovo quartiere della città, s'imbastisce la grafica dell'evento e si fa un brain storming generale sul momento, l'Africa e chissà cos'altro. Non è di certo facile trovare la quadra giusta per tutto ciò.
     E' mezzanotte, un mosquito mi rincorre e lo frego entrando nella zanzariera sul materasso poggiato a terra. Domani si lavora, sarà meglio dormire.




    Bambini della piovosa periferia di Kigali. Foto Maichi Ntwari Pashcal.

1 ottobre, Day 69. Secondo bizzarro trasloco kigalino.

    Difficile alzarsi quando si è stanchi già appena svegli. Cerco qualcuno a cui mollare uno zaino pieno di cose da lavare ma trovo solo offerte di nettoyage à sec. Svuoto in due posti diversi le mutande sporche mischiate a pantaloni e camicie e magliette ma ricevo preventivi per sceicchi arabi. Assumerò dunque qualcuno per svolgere il compito ingrato di trasformarsi in lavatrice in questi giorni ad un prezzo decisamente più cheap.
    Giornata di fatiche d'ufficio al Kie dopo tre giorni di gitarella sul Kivu smanettando su blog, foto, archivio tesi del dipartimento, mail e informazioni, pianificazione lavoro dei prossimi giorni con chiamate su e giù per Kigali, musica nelle orecchie e dritti così fino a sera.
   Mi concedo una pausa solo per prendere un prodotto del re dello yogurt italo-rwandese con lo sguardo sorridente delle cassiere con cui ebbi uno screzio riguardo un presunto resto non esatto. Tornato a casa, inizio il trasferimento con l'aiuto di Sexy Bear a salire su una moto tenendo con una mano il trolley a cui ho attaccato un sacchetto con gli scarponi (mai utilizzati in Africa), alle spalle uno zainetto non rigido fissato su due corde e infine il netbookino con la sua custodia. Non c'è confort o gran turismo alcuno, ma con due giri di moto risparmio 2000 franchi di taxi per un viaggio basato sulla forza e pazienza di braccio, folle scena per un contesto europeo e fors'anche qui in Rwanda.
    Tornosolo  in tarda serata nel nuovo alloggetto da K. dove mangiamo pasta all'africana e legumi con carote facendo quattro parole sugli avvenimenti recenti, poi nanna nel materassone buttato a terra con zanzariera coprente. Ho ancora la voglia di scrivere una nuova puntata, poi crollo esausto sotto l'effetto del secondo trasloco africano.




    Brothers, Musha, Lake Muhazi, Rwanda. Foto Maichi Ntwari Pashcal.