martedì 25 settembre 2012

24 settembre, Day 62. Scarpe texane di buona fattura nel camerino di Clark Kent.

     Vado al KIE per essere aggiornato su accordi, lezioncine, cambiamenti da fare e da farsi, fenomeni da raccontare e su cui riflettere in questo mese rimanente sul campo. Incontro un rwandese capace di parlare molto bene l'italiano (con cui ho alcuni scambi di visione sulla situazione quotidiana nel paese e non solo): trovo strano sentire quel bell'accento nostrano, ma mi fa notare che anch'io parlo lingue straniere. Tanto bizzarro, dunque, non è.
     Si rivedono le chiacchierate di ieri, si tirano giù considerazioni per una tesi che arriverà nei prossimi mesi come nei prossimi minuti e poi, tutto d'un tratto, scompare l'elettricità, internet, la buona volontà, il bel tempo. Scappo per prendere un chapati al volo ed uno yogurt -tassativamente Masaka- bevuto e mangiucchiato con l'aiuto d'una cannuccia guardando il traffico di Kimironko con un'aria tra il placido e l'ultra-teso.
  Attendo l'appuntamento per l'ennesima lettera di permesso di un rappresentante legale, concedendomi un caffè al Borboun all'ombra del grattacielo che sprizza Vision 2020 alle mie spalle. Provo e riprovo a chiamare mentre incominciano a cadere goccioline ed in tutta fretta mi sposto con gli aggeggi tecnologici dalle piogge rwandesi. Mi riparo dalla linea d'acqua sempre speranzoso che non si alzi il vento rischiando di annegare il netbookino, poi salto come un cangurotto da un tavolo ad un altro finché ne trovo uno abbastanza riparato dalle intemperie centro-africane.
   Vado in bagno a cambiarmi d'abito tipo superman per cercare di dare una buona impressione al rappresentante questo tardo pomeriggio, il quale tutto d'un tratto mi chiama ed invita a raggiungerlo senza troppi fronzoli. Non posso disdire, ovvio, e mi do una bella mossa per preparare i bagagli, pagare il caffè più lungo della storia e filare via dal centro città verso Kimihurura.
   Arrivo indirizzando il motard nel posto da me già conosciuto con un look da texano in viaggio per affari (ma senza cappellone alla Chuck Norris o pendagli con teschi di mucca) ed aspetto una buona mezzoretta il mio turno. Incontro concluso, trattative elaborate e poi dritti al Kie per produrre documenti, fare piccoli cambiamenti, scannerizzare e chissà cos'altro. Prendo un altro yogurt per cena, litigo per un resto mal dato, poi arriva il Dorigatto con delle brauchette (dopo averle mangiate, per tutta la sera si dedicherà ad una conversazione sullo sbatacchio rwandese e sulla bruttezza dei medesimi via skype).
  Termino di stampare e sclerare alle 11.30, si arriva a casetta a mezzanotte ed oltrepassando il muso di Mariottide paciocco ancora qualche foto in compagnia dei Black Keys, per poi addormentarmi nell'arietta notturna della prima “città svizzera africana".



    Piccolo ricordo della colazioncina solitaria a Nyagatare. Foto Maichi Ntwari Pashcal.

23 settembre, Day 61. L'aldilà alle 8 del mattino.

     Sveglia 7.30, già in ritardo, ma in 10 minuti sono pronto e con lo zaino in spalla sopra una moto diretto verso la strada dei ministeri. Faccio una colazione veloce da K. fino alle 8.30 e sono presente al centro Adepr alle 8.33. Mi capitano due super dialoghi sui doni sovrannaturali che mi prendono circa tre ore piene, senza un minuto di pausa nemmeno per bere l'amazi gentilmente offertami. Una prima mattinata con l'occhio semi-aperto e le orecchie captanti testimonianze degne di finire in un documentario prodotto dall'aldilà. La normalità è del tutto un fattore culturale. Non fa una piega.
   Scappo a Nyamirambo per un nuovo service incontrando e risolvendo i soliti problemi del campo, poi mi dirigo con D., sua moglie ed un 'altra coppia a casa del primo per un pranzetto domenicale. Ad accompagnare un buffet con ingredienti troppo ricorrenti in questo paese, la visione di un film di produzione statunitense tra il fantasy improbabile e l'esplicita volontà di convertirti con una pellicola di ben dubbia qualità. Il video del matrimonio della coppia mi lascia di sasso e mi fa rivivere in una mezzoretta tutte le sfaccettature della cerimonia di marriage traditionelle.
    Latrina a lato di un bananeto, pioggia torrenziale, nubi grigio-nere ed il tentativo inutile di andare in un internet cafè chiamato “ABC” popolato, secondo D., da molti europei e giapponesi. Al KIE per un piccolo salto dedicato a lavori d'ufficio e poi il solito Bourbon Cafè fino alle 9.30 p.m. per scrivere, rivedere, riflettere su che diavolo stia facendo in mezzo all'Africa.
     Prendo una moto per raggiungere les italiens in un'incognita destinazione chiamata “Chocolat” che troviamo ovviamente chiusa. Si procede tutti in un nuovo posto suggerito dal re dello yogurt italiano, dove ordiniamo una paio di birrette e del thè che arriva dopo circa 40 minuti d'attesa. Chiacchiere spazianti da “Gatto nero, gatto bianco” all'olio d'oliva, dal Kosovo ai cavalli in servizio civile nell'inverno albanese e l'inutile tentativo di continuare la serata tra maschietti al “Papyrus”. Si va tutti a casa et on va se coucher verso le 00.13.



    I ragazzi dell' "Ubumwe Create" costruiscono un tavolo per l'expo ottobrina all'atelier. Foto Maichi Ntwari Pashcal.