lunedì 27 agosto 2012

26 agosto, Day 33. Il falò delle vanità sub-sahariane e l'arte tramandata per batacchi.

    E' domenica, giorno ricco di musiche e fenomeni paranormali da queste parti. Mi alzo quasi per caso, decido per una colazione minimale ed esco verso Niamyrambo pronto a drizzare l'orecchie per nuove parole e scene di vita in kinyarwanda utili alla mia produzione tesistica nonché accrescimento antropofagico. 
    Incontro la gentile B. ed il premuroso D., che mi raccontano del più e del meno dell'Holy Ghost da questa parte della città e da quelle parti delle loro vite. C'è anche il tempo per reincontrare il capitano di Buona Sventura ed annoiarsi un po' sentendolo mugugnare le sue solite cosette prive d'inventiva.
   Nel pomeriggio assisto alla versione africana di un concerto di Vasco per affluenza di pubblico e popolarità allargata: un meeting con cariche religiose allo stadio Amahoro dove oggi s'incontrano migliaia di persone di tutte le fedi per cantare, ballare, gridare “Alleluja!” a 200 decibel e lasciarsi andare spiritualmente come in una febbre pentecostale del sabato sera.
    Inutile dire che lo stadio è colmo di giovani, alla faccia della nostra curva italiana di natalità negativa e dell'ipocrisia da credenti al soglio papale. Un battibecco tra fedeli cattolici e pentecostali (davanti niente di meno che il Primo Ministro con cinque dei suoi ministri) divide lo stadio a metà: defluiscono i giovani cattolici indignati di una considerazione poco consona fatta da un pretone carismatico pochi minuti prima; continuano, anche se un po' imbarazzati, i canti dei supergiovanotti rwandesi “colmi di spirito” secondo D, di semplice voglia di divertirsi secondo me.
   Si alternano davanti la folla oceanica: la banda con marcette militari sfilanti davanti le Autorità; i cantanti pronti per un X-Factor multi-religioso con giuria di Morgan nei panni di un Pastore presbiteriano; due aquile che sfrecciano nel cielo e dondolano a centro stadio non curandosi di rumori, maxi-schermi o alte cariche politiche.
   Arriva un vento gelido, le nuvole si fanno nere e minacciano di strizzarsi sopra l'operosa reflex, i capelli ben ordinati delle teenagers non-conservatrici, gli abiti sobri e noiosamente eleganti dei ragazzi conservatori. Il cielo diventa sempre più buio, sono le 05.33 del pomeriggio ed il tramonto è già in fase di conclusione. E' in questo momento che un altro terzo di stadio si alza per scappare dal temporale e correre verso bus, motards, aree coperte dello stadio, mentre le due aquile sono scomparse già da parecchi minuti nei loro nidi sui tralicci dei mega proiettori.
   Nella serata cominca a piovere in modo deciso. Io riapro il file di testo .odt spendendo altre tre ore circa nella formattazione esatta in vista dei cd da masterizzare in nottata. Provo grande odio nel vedere oggetti spostarsi senza posa o ragione da una parte all'altra del documento, tornare al loro posto magicamente ed infine ritrovarsi nel posto errato dopo aver salvato ed esportato in .pdf.
  Quando tutto è magicamente in bolla, creo finalmente la “CARTELLA FINALE”. Il cielo sembra riaprirsi, la notte illuminarsi di colpo e persino il Rwanda sembra accrescere il suo prodotto interno lordo annuo. Decido di raggiungere gli altri italians al “Sole-Luna”, ristorante con prezzi europei che mi sballano completamente le finanze tarate su “africaequatoriale”.
   Si accrescono le conoscenze per comune patria d'origine e dopo cena J., nel suo inconfondibile stile rwandese, ci tiene un'ora intera a parlare dell'arte dello sbatacchio tramandata da lunghe generazioni passando per sambuche in bicchierini osé, aneddoti sui vasi da notte e pillole tratte dall'autobiografia di Rocco Siffredi.
  L'aria è umida e le palpebre si chiudono, un masterizzatore è pronto a sbranarmi e a bruciarmi per bene i cd nel salotto di Mariottide. Sarà meglio tornare.
  Ma perché qua fa freddo e piove come nel video di “November Rain”, mentre l'Europa schiatta di caldo e non trova una pace rinfrescante? Che L'africa sia diversa da come ce l'hanno sempre raccontata? O forse NOI non siamo semplicemente in Africa, ma in una colonia rwandese in Nord Europa, frutto di un grande complotto alieno? E' questa l'unica ipotesi possibile per spiegare i miei pantaloni lunghi, l'impermeabile ed il mio tremolio da inverno piemontese inoltrato seppur in pieno agosto e nel cuore del continente africano?
   Ma anche no.



    Simpatici bovini in stile Batwa. Souvenir progettati e pensati per i ricchi turisti muzunghi, ma anche no. Foto del Maichi-bu-ntu Pashcal '12.