domenica 9 settembre 2012

8 settembre, Day 46. Il pensiero rosa danzante con il buon guardiano pigmeo.

     La sveglia non è forzata poiché il corpo gode di ben 11 ore di sonno, cosa alquanto rara per me da queste parti. Ci si mette volentieri in marcia per dare un'occhiata a qualche posticino nelle vicinanze prima di ripartire verso Kigali.
     In primis una piccola capatina alla Guest House “Petite Collines” dove ammiriamo una villa gigantesca trasformata in set per grandi eventi, catering e riunioni. Una mini mostra d'arte di sculture à la congolaise in un fascinoso porticato ed il saluto del generale a capo di tutta la baracca, molto gentile a mostrarci il luogo con tanto di sdraio sul paesaggio offerto dalla casa e che chiude la prima parte della mattinata.
     Cerchiamo di prendere con fatica due moto -prezzi gonfiati da muzungu o niente-, per poi mandare tutti a stender panni nel Kivu e continuare a piedi. Troviamo un gentile passante che ci porta in pick-up fino alla rivière, dove incontriamo i genitori di K. con cui mangiamo una zuppa di banane e legumi, chapati, thè e le due solite cake per terminare il pranzetto. Inizia a cadere una pioggia torrenziale, con un freddo umido che entra nelle ossa degli abitanti di Rusizi trasportanti enormi sacchi di iuta legati con una fascia alla fronte e cadenti sulle schiene piegate dalla fatica del gran peso. Si prende il bus per la città: mi concedo due banane ed una bottiglietta d'acqua a soli 100rwf prima di partire ed attendere fino alla pausa centrale dopo ben tre ore. Rifiuto un'ennesima mangiata di brauchette infilate in stecchine di canna a Nyanza, preferendo un semplice chapati bagnato da thè di qualità rwandese.
     Per tutto il viaggio di ritorno due bambini trovano gran gusto a fissare il muzungu davanti ai loro nasini: mi domando se non si annoino almeno quanto me, che riesco persino a scaricare la batteria dell'ipod girandomi e rigirandomi nel sedile in cerca di una posizione comoda mentre dal finestrino entra l'aria gelida e umida della pioggia che continua a cadere come un gran torrente in piena.
    E' sera, c'è tempo per un'ultima pisciatina alle porte di Kigali con rischio annesso d'esser lasciati a piedi dall'impaziente chaffeur; il saluto a K. per il gran lungo voyage condiviso nella giornata e la partenza verso il breve riposo da Nyabugogo.
    Un salto a casa per doccia e cambio d'abiti, poi prendo una moto sguazzando nel fango della salita in terra rossa di Sonatube dirigendomi dritto dritto chez les italiens per la festa Think Pink ed il compleanno della M. Ospiti internazionali ed apparizioni batwa, canti e balli dal sud Italia con armamentario strumentale improbabile, ivresse ben controllata e spuntino in tarda notte con bicchieroni di cocktail a base di frutta. Sono le 5.30, la stanchezza prevale e si va a nanna.




    La mattina dopo. Foto del Maichi-bu-ntu Ntwari Pashcal (tuttora non fumatore).

7 settembre, Day 45. Sambussando verso sud.

     Partenza da Nyabugogo alle 7.30 per il sud del Paese. Gitarella con K. & family attraverso la foresta, piantagioni di thè grandi vallate e colline, villaggi di fango e campi profughi Onu, parchi nazionali con gorilla stilizzati all'entrata e scimmiette a spasso per la strada. C'è tempo per una breve pisciatina e foto ai grandi alberi che segnano l'inizio del parco con un freddo umido pungente che ravviva le funzioni biologiche all'istante.
     La strada è prima asfaltata, poi molto accidentata ed infine di nuovo perfettamente asfaltata per un tratto limitatissimo. Prendiamo i posti in fondo al bus schiacciati tra valigione, bambini dalle manine unte d'olio fritto e Sambussa, tanto curiosi di toccare l'uomo bianco; donne che allattano figli con un altro marmocchio dormiente in un lenzuolo legato tra vita e spalle, buche enormi piene di polvere rossa ch'entra per i finestrini, aria viziata e tanta voglia di terminare questo viaggio infinito.
     Il totale è di sei ore tra massacro fisico e voglia di suicidarsi prima di essere arrivati a Changungu, dove prendiamo un taxi, preleviamo al Bck e ci dirigiamo verso la frontiera congolese segnata da due ponti ed una diga. Io rimango strettamente incollato al suolo rwandese da cui non posso uscire tassativamente, ed ammiro la grande barrage facendo un mini-tour in direzione ed attorno il lago Kivu. Una birretta sulla riva con K, due parole e le zanzare iniziano a ronzare. Prendiamo due moto al volo e dritti in centro città, dove troviamo una Guest House a 4000rwf per una notte, comprensivo di due camerette con lettone, doccia e Nuovo Testamento sul comodino per gli interessati. La stanchezza è tiranna, ma troviamo ancora la forza di mangiare una frittatona a testa per cambiare il solito fuckin' menù à la rwandeise privo di qualsivoglia fantasia. Ho disperato bisogno d'acqua, sento d'esser disidratato ed impregnato di Primus: chiedo a grande voce una “Amazi” mentre sento l'odore dolciastro di un intruglio zuccherino rosso rubino che K. consuma al mio fianco provocandomi una forte nausea da glicemia alle stelle.
    Ci sono sguardi e parole stigmatizzanti per il bianco solitario bazzicante l'Africa e tante grandi speranze di trovare il cuscino per porre fine ad una giornata stancante di 24 ore x mille. Leggo qualche pagina de “Il mio cane stupido”, penso all'ironia di Lévi-Strauss all'inizio di “Tristi Tropici” e crollo come un bimbetto che ha giocato troppo al parco. Sono le 21.30, e sto già dormendo.


 
  
    Children @ Byumba, Rwanda. Foto del Maichi-bu-ntu Ntwari Pashcal.

6 settembre, Day 44. Polo sud negativo e prezzemolini a piede libero.

     Sveglia post-produzione con l'ansia della negatività dell'universo intero -e forse anche oltre i suoi confini- che si tramuta nella gioia della negatività in piena schizofrenia euforica nel corso della mattinata e del primo pomeriggio. Prima d'andare al Bourbon Cafè per l'ennesima volta a rivedere i progressi fatti in questa quarantina di giorni, mi crogiuolo con chapati al sapore di risparmio economico. In tarda serata incontro K. per fare due parole ed organizzare il termine del quadro incominciato una settimana fa.
     Mi dirigo al Kie per una internet connection stabile e gli agenti del karma mi obbligano allo stanza sul retro nella piena oscurità per la skypeizzazione selvaggia; arrivato a casa, ceno con bruschetta-pomodoro in prestito da Mariottide-crepes e crudo con supervisione del Dorigatto in piena crisi da casalinga italiana in vacanza. 
    C'è tempo per un ananas pre-uscita con gli italiani al Pasadena Bar, una sorridente birretta vista Gazzelle in salsa di muzunghi ed un “prezzemolino!” gridato ai quattro venti per la gioia dei quarantenni stranieri che preferiscono le rwandesi giovani ed in forma. Passaggio a casa con la luna che fa capolino nel cielo rwandese sapendo che la sveglia suonerà presto, molto presto: conviene affrettarsi a chiudere gli occhi e a ritrovare la pace dei sensi perduta.



    E' l'inizio della piccola stagione delle piogge. Foto del Maichi-bu-ntu Ntwari Pashcal @ Byumba.

5 settembre, Day 43. Maccaroni cipolla-aglio-olio-e-peperoncino.

     Mattinata dal risveglio prematuro, diviso tra lettura di un bel romanzo, note di campo ancora da risistemare e seconda capatina al Borboun Cafè per appunti con briosche cioccolatosa e solito French Press per tirare avanti baracca e macerie. Dopo diverse ore di lavoro ascetico mi concedo un panino economico con prosciutto alla piastra e patatine, senza staccare gli occhi dal netbookino un solo istante. Nel tardo pomeriggio, quando ormai l'oscurità è sovrana, mi raggiunge D. per una chiacchierata su fenomeni paranormali, termini specifici dal kinyarwanda e curiosità dal mondo dell'aldilà, il tutto sorseggiando una coca-cola in un elegante bicchierone a 700rwf a testa.
      Si fa cena alla colonia italiana con cibo d'asporto libanese del tutto insoddisfacente, povero nelle razioni e caro oltre un buon senso, con a seguire maccheroni cipolla-aglio-olio-e-peperoncino, cicoria saltata in padella e yogurt alle fragole con biscotti sbriciolati: un menù del tutto fuori di testa ma necessario alla sopravvivenza della specie umana italiana.
    Tento di fare uscire qualche suono da un comodino con coppie di corde uguali, vecchie e dall'inutile tentativo di inquadramento sonoro che dir si voglia, per poi lasciare partire la catena di sbadigli che precede un passaggio fino a casa del re dello yogurt rwandese.
     Il forzato sonno da carenza di cultura in questo paese non da molte ispirazioni per visioni oniriche che siano minimamente interessanti, bensì un placido silenzio che rimpiange sale da concerto europee, cinema colmi di giovanotti, pile di libri e facce sboccate che non vogliono mai esser d'accordo. Tutto procede come sempre: una fase di transizione dall'incerto futuro risultato.



    Dorigatto for Amnesty. Dopo essersi leccata le ferite, continua la sua opera per cambiare il mondo. Foto del Maichi-bu-ntu Ntwari Pashcal.