mercoledì 29 agosto 2012

29 agosto, Day 36. Bar da bianchi per bianchi pieni di bianchi.

   Finalmente il sonno torna ad essere riposante. Nel lettone mi crogiuolo tra facebook, Fante e ripetuti sonnellini; poi il Dorigatto colazionante sciabatta in camera e giustamente mi ricorda che si deve cercare ancora un'altra casa dove poter continuare a dormire. La non-colazione è accompagnata da telefonate, annunci, proposte e disdette di contratto.
   La pioggia inizia a cadere piano, poi forte, per divenire infine un piccolo monsone: aspetto il momento di tregua per prendere una moto ed andare a dare un occhiata a Nyamirambo, tra le baracche di lamiera, la terra rossa ed il fango mischiato a sacchi di sabbia, tubi dell'acqua in vista, bancarelle improvvisate e le solite grida “Muzuuunguu!!”. Arrivo a destinazione e passo qualche oretta a chiacchierare con un insegnante su vari argomenti di vita quotidiana, riparato per un soffio da un e norme acquazzone a cui mancava solo Noè con la sua arca. Dopo aver salutato la riunione di femmes chez l'église, approfitto di un'altra breve tregua di pochi minuti per prendere un motard fino in centro città al Barboun Cafè. 
    Ammetto che la voglia di occidente è palpabile. Ma l'antropofago deve essere per definizione flessibile, dunque può concedersi qualche volta un baretto American Style. In un pomeriggio in cui la pioggia obbliga a rifugiarsi al sicuro e col proprio netbookino ecco che arrivo su dei divanoni dall'aspetto ultra-comodo in cui giocare a fare lo sfacciato muzungu in mezzo ad altri real muzunghi. Trovo una colonia di studentesse americane sorseggiante enormi bicchieroni di caffè e ghiaccio, intente a chattare su facebook con i loro lucidi Mac. Io esibisco il caro vecchio netbookino, rimetto a posto idee, appunti e mi dedico all'attività bloggheriana in tutta calma e con un single-shot espresso non troppo lontano dal sapore e dall'aspetto italiano. Dalle baracche al bar In, dalle stelle alle stalle e, forse, dalla padella alla brace in soli 5 minuti di moto.
    Arriva il Dorigatto e si ricomincia la maratona cerca casa, con mille telefonate ma nessun ragno economico cavato dal buco. Dopo aver poltrito diverse ore nell'occidente esportato in forma di bistrot, si va a mangiare un plain-burger ed un burrito cheess&beef in un bel localino vicino i grattacieli del centro, prezzi modici e stomaco pieno. Ci raggiunge anche il buon Taru, con cui parliamo della prostituzione legale giapponese, della sanità italiana e statunitense spostandoci proprio nel primo bar che ci ospitò nella vita mondana di Kigali (con Kai, più di un mese fa). Programmiamo l'afflusso senza sakè dei japanese friends al genitliaco Dorigottiano di venerdì prossimo; poi Taru ri-prende la sua amica insegnante di matematica mezza/tre quarti sbronza e la porta a casa sana e salva da altre bottiglie di Primus.
     Tornando verso la strada principale s'incontrano i primi homeless rwandesi, un accattone molesto, i primi ubriachi ciondolanti per le poche strade non controllate dai militari in questa zona. L'aria si fa subito da far west, seppur senza cowboy o trielli alla Sergio Leone. Arrivate le moto scampato il pericolo, dritti a Sonatube per la nanna in vista di una giornata piuttosto lunga.


 
    Le insegne africane sono un capolavoro di reinterpretazione pop. Foto del Maichi-bu-Pashcal'12.

28 agosto, Day 35. "R.W., telefono caaasa!"

    Mattinata all'atelier di Kibe per iniziare il progetto di un piccolo quadro tra amici e pour divertissement. Prima di scarabocchiare facciamo un salto a vedere nuovamente lo studio artigianale pigmeo assistendo alla faticosa preparazione maschile dell'argilla, allo stoccaggio, alla lavorazione e modellamento dei vasi veri e propri delle giovani, alle rifiniture delle donne. Un piccolo gruppo di uomini più anziani è in riunione, fa i conti, prende ordini, scrive note e resoconti. Una bella ragazza rwandese vestita all'occidentale, fighetta con borsetta, è pronta per occuparsi di fatture, lavori di ufficio e contatti al di fuori del laboratorio. Una vera e propria cooperativa costruita in passato con fondi di origine canadese come mostrato da una targa con foglia d'acero dominante il locale dei forni per la cottura.
     Ritorniamo sui nostri passi per la grande salita fino al mercato e dunque allo studiolo des artistes. Nella piccola comunità sfoggiante vecchi pennelli intrisi di colore passo mezzo pomeriggio a spremere le meningi e provare a concludere qualcosina con la matita compratami per l'occasione da Kibe. Schizzi qua e là, poi un'idea si circoscrive sviluppandosi da sé. Il colore e la trielina li lascio però alla prossime volte: per oggi può proprio bastare. Le poche ore di sonno iniziano a farsi sentire e si deve ancora trottorellare per la città in vista di un posto dove trasferirsi.
     Il Dorigatto prende some contacts con uno studio cinematografico privato lì a due passi. Mangio con Kibe, sua figlia e sua sorella minore, preparandomi a passare un pomeriggio a cercare una chimera su e giù per Kigali. Si passa a domandare ospitalità veramente ovunque, persino per una Guest House con intercessione di una suora cattolica che venne in visita proprio a Torino e  Forno di Coazze (!) con cui mi meraviglio di ritrovare una fetta di mondo conosciuta e così lontana.
     Le soeurs catholiques affittano sempre solo a donne perché non possono, di certo, farle dormire per strada come gli uomini che, invece, possono russare ovunque, anche a terra. Strana filosofia, ma il senso è chiaro: precedenza al gentil sesso. Non fa una piega, certo, tranne il fatto che io sia costretto a pagare sempre di più.
    La voglia di trovare la soluzione giusta è talmente spinta che riesco a confondere persino una professionniste con la segreteria del Committee, prova del nove di una distorsione diffusa e lontana dal placarsi degna di un Robert Plant miagolante:“...sooo dazed and confuuused”.
    Sfilano dall'agenda contatti privati per case e camere affittasi, reti di conoscenze ancora troppo alte nel prezzo tra cui emergono anche un cugino ed un amico di T., poco disposto però alla contrattazione. In ultima spiaggia, se andrà storta, si sceglierà un'accomodation religeuse in Nicaragua e buona notte al sonatore.
    Si torna a casa. Qui faccio quattro parole con Mariottide sulla possibilità di rimanere ancora qualche sera: lei acconsente con sorriso da ziona ed un generoso “Oui...”. Ma la questione casa è ancora aperta e di certo le valigie saranno da richiudere presto.




    Il Maichi-bu-ntu Ntwari Mikayire Pashcal in visita alla cooperativa pigmea di produzione vasi in terracotta. Foto del Dorigatto del Rwenzori.

27 agosto, Day 34. Muzungo dal muso lungo.

    Ci sono cose che ti tirano in un vortice di solipsismo, altre che ti spingono a migliorare aggiungendo un virtuoso mattoncino; altre pare siano del tutti futili ma le ultime, quelle del tutto indecifrabili nel bene e nel male, sono le peggiori di tutte. Ci sono righe da scrivere e molte da leggere, storie da incominciare ed altre da depennare. Un gran frappé che da una prospettiva equatoriale diventa fiele o miele al minimo soffio di vento, proprio qua, che il tempo cambia con una rapidità enorme alternando la fredda viscida pioggia al caldo prepotente sole.
    Mi dirigo da V. al Committee per lasciare le 9 copie dei cd-rom incrociando le dita, le gambe e tutto l'intrecciabile possibile. Controllo per l'ultima volta il gigante .pdf sullo schermo e sono felice di trovare tutto al proprio posto. Chili di documenti sembrano pesarmi ancora sulla schiena, ma ora il fardello passa finalmente di mano: ci vediamo a settembre.
    Esco col cuore in gola e prendo la mia moto per il KIE. Oggi farò il topo da biblioteca per rendermi utile al Department, stoppare la bobina ansiogena, dedicarmi all'ispirazione bloggeriana, lasciarmi inondare da chili di paper sul potere della donna in ogni sua salsa e declinazione. Dopo un lavoro di databasing esco e prendo la via di un locale suggeritomi da Gennarina, l' ”ABC” di Remera. Vado alla cieca con la migliore ispirazione da flaneur trotterellante, mi perdo in una via dalle insegne disegnate a mano con figure dalle dubbie proporzioni anatomiche, gironzolando con spleen muzungo senza percepire il tumulto delle diversità ma sentendo la normalità della vita d'una città africana.
   Arrivo a casa e Mariottide prepara la tavola con 4 piatti. In menù legumi e carote in salsa di manioca, riso sbollentato, tortino di farina di mais. Il Dorigatto dal cellulare morto è ricercata dalla padrona di casa per partecipare alla cena, ma latita tutta la sera con la colonia italiana lasciando perdere le sue tracce.
   Più tardi mi becco con Kibe per una birretta serale. Per caso troviamo O., a friend of K., e la famosa birretta diventa moltiplicata per quattro. Torno per la gioia di Mariottide alle ore piccole in the dead of the night, costringendola ad alzarsi dal letto, prendere il mazzo di chiavi ed infine aprirmi la porta. Ma che diavolo, è l'ultima sera del nostro contratto e la copia della chiave non ci è mai stata concessa: non posso sentirmi in colpa per questo.
   La gioia descrescente e degradante, una dormita di poche ore volente o nolente, la necessità di trovare un'altra casa quando il sole sarà sorto: tutto questo dopo la pubblicità.



  Aquile nel cielo di Kigali. Se sono falchi o un altro tipo di rapace, va bene lo stesso. Non è il mio ramo. Foto del Maichi-bu-ntu Pashcal '12.