martedì 31 luglio 2012

30 luglio, Day 6. Il giardino sul retro ed il domestico da guardia.

    Il dolce risveglio in un letto vero, grande, non comodissimo ma più che discreto, mi da la sensazione di aver dormito per la prima volta dalla partenza torinese. Coccolandomi nel lettone matrimoniale scrivo il diario di bordo, rileggo la puntata precedente e ripenso alla successione degli avvenimenti. Torno a dormicchiare, riscrivo ma poi Irene arriva affamata e con news del tutto inaspettate/eccentriche.
   Salutiamo Marianne, la nostra madame-zia/ziona che ci prepara un thè con le foglie in polvere ch'abbiamo comprato ieri, complimentandosi per la buona scelta e facendoci capire perché il Rwanda è tra i maggiori esportatori mondiali di caffè e thè. Col nostro yellow bread gigante e la nostra marmellata alle fragole+finta nutella facciamo colazione mentre la servitù di Marianne lava le lenzuola con cenere, acqua e sapone. Stesi ad asciugare creeranno la perfetta atmosfera da casa coloniale con maggiordomo e giardiniere di fiducia fedeli al loro padrone.
    Marianne si offre di darci un passaggio alla MTN per risolvere i problemi di connessione internet da cellulare. Arrivati a destinazione controlla dalla macchina che prendiamo la giusta via con affetto e spirito materno.
   Dopo aver realizzato di doverci dirigere in un altro posto più centrale, rimandiamo la diatriba telefonica e prenotiamo due mototaxi per dirigerci al Kigali Genocide Memorial Center. Basta un mezzo sguardo di approvazione per avere attorno 6 bikers che, offrendo il casco, ripetono: “me!me! Come with me!”, accerchiandoci tipo cintura di forza. Scelgo il ragazzo di fianco a me, accettiamo il costo della paga ed inizia un'esperienza da cagarsi sotto.
  Kigali è una città trafficata di giorno dove ognuno guida liberamente o almeno senza troppo preoccuparsi delle regole. Se ci aggiungete moto leggere che s'intrufolano tra i passanti, i camion, le auto e che vanno il più veloce possibile, eccovi ottenuta la tensione su due ruote. Precipitare per i tornanti su e giù per le hills della città toccando quota 90km/h, su una discesa con curve alla Valentino Rossi e pensare che il casco non è della tua misura: eccovi riassunto il tutto. Dopo 20 minuti di patema, arriviamo al Centro, paghiamo la modica cifra e ci promettiamo di non prenderna più una.
   Il Genocide Memorial è ben tenuto, organizzato e pensato. Didascalie sintetiche e semplici riassumono la divisione etnica sin dal colonialismo tedesco, passando per gli anni del partito unico fino al '94 e all'RPF, riuscendo ad essere ben accessibili a tutti. Prendo appunti con calma mentre scorrono immagini terribili e informazioni ancor peggiori. Finito il giro su due piani (l'ultimo dedicato ai genocidi nella storia e al massacro dei bambini), ci si concede leggerezza con un pranzo al bar del Centro.
    Modici prezzi per un pranzo reale firmato Dorigotti ed una coca con omelette di frutta per me. A terminare caffè rwandese very-strong-very-good (quasi quanto il thè mattutino) mentre navighiamo wi-fi free. Terminata la pausa, un salto all'Archivio del Museo dove una ragazza ci mostra come fruire del database più terrificante mai raccolto prima, probabilmente. Vedendo un filmato breve di un ragazzo che racconta la sua testimonianza mi sorprendo di guardarlo sfilare al mio fianco verso una scrivania, mentre con lo sguardo cerca la mia attenzione per poi dirmi: “I recognize my face”. Mi presento dopo aver finito il filmato ove lui stesso raccontava di aver visto i suoi genitori e fratelli uccisi barbaramente nei minimi dettagli. Con pacatezza spiego chi sono e il mio progetto di ricerca in atto, per poi scambiarci i contatti con questo ragazzo coetaneo dal passato terribile.
    Uscendo, un breve salto agli ossari vicino ai giardini gestiti da cooperative locali -uno degli aspetti della ricostruzione nazionale- e poi di nuovo, necessariamente, dobbiamo prendere i mototaxi. Il viaggio di ritorno ricorda più bikers napoletani che rwandesi, intrufolantisi tra gli specchietti e le strette auto con rischio infarto assicurato ogni 30 secondi.
    Aspettiamo Marianne con cui parliamo di lavoro, figli, università, curiosità; le mostriamo le foto di Istanbul e veniamo a scoprire i suoi commerci a Dubai in thè, caffè ed altri prodotti per l'import/export. Il suo nipote/domestico è bene informato sulle news dal Congo e ci spiega le ragioni e gli interessi economici dietro l'M23: ascolto bene per capire se dovremmo affrontare un'altra guerre oppure no durante la nostra permanenza!
   La sera tentiamo di prelevare da una ATM della Bank of Kigali ma nessuna banconota ci viene concessa. Incontriamo Bonaventure con cui facciamo cena con del fried chicken davvero pesante ed unto, nemico della salute del fegato umano. Bagniamo il tutto con della Mutzig 33cl e facciamo i conti con gli ultimi spiccioli rimasti, a cui il nostro giovane informatore aggiunge qualcosa per pagare il conto. Parliamo in inglese e francese di argomenti connessi alla ricerca sul campo, senza remore neppure per argomenti collegati al '94 né all'M23, di cui conosce alcune persone amiche attiviste nel Kivu. E' interessante notare la grande preparazione linguistica di molti giovani che parlano, oltre due lingue europee, anche la loro complessa lingua bantu locale. Dopo essersi riempiti per la prima volta di vero junk food africano torniamo a casa e salutiamo l'Irene's spasimante, le Bonaventure.
   Nous allons frapper la porte à Marianne per farci aprire poco dopo la mezzanotte, svaccarci sul lettone in tranquillità e solitudine dove il diario di bordo prende forma e le memories sono impresse sul netbookino.
    Quando sono vicino al dormiveglia ecco che il telefono squilla: è Bonaventure che ci ringrazia per le due mangiate fatte insieme, per le chiacchiere e per il bon temp/good time passato insieme, speranzoso di vederci le prossime sere per mantenere la relazione sul campo e sviluppare i temi affrontati. Una piccola grande soddisfazione antropofagica, dopo tutto.


Il giardinetto sul retro della casetta da padroncini bianchi in vacanza e gli abiti al caldo venticello di Kigali.