lunedì 6 agosto 2012

5 Agosto, Day 12. Da oggi con più disagi alimentari, bananeti e birra di sorgo.

     Ci si sveglia presto in modo da potersi dirigere alla BeKà per ritirare con carta Visa e poi andare dritti al parcheggio dei bus in partenza per diverse location nel Paese. Tutte le ATM sotto i grattacieli del centro sono senza connessione o risputano la carta al mittente: tocca utilizzare al meglio l'argent ed attendere che tornino in funzione.
      Dopo esser stato “quasi fregato” da un attempato motard per un breve tratto verso il Nyabugogo Taxi Park per 500rwf (si parla sempre di pochi centesimi di euro) che riequilibra il costo ultra-favorevole verso la parrocchia in campagna di qualche giorno fa, ecco che ci dirigiamo a prendere i biglietti per la nuova gita. In un mix franglais+sguardi concentrati contratto per avere altri sette posti prenotati con la compagnia Belvedere fino a Remera, ove saliranno gli altri ragazzi.
       Ciechi, mutilati e storpi chiedono incessantemente l'elemosina su è giù per il parcheggio ma seguo il consiglio degli italian friends: non cadere nel tranello “tu-bianco-ricco-dare-me-soldi” per non rovinare un approccio alla pari sul campo con i nativi. Di certo vedere tante disgrazie così vicine porta un certo disagio, ma si va oltre e si fa colazione con pane dolce e sambussa per reggere le tre ore di bus che ci attendono. Con interpreti scelti sul momento parlanti almeno francese o inglese comunico tradotto in kinyarwanda le prenotazioni posti e mostro il biglietto da 3000rwf per Nyagatare.
        Alle dieci in punto comincia la lunga traversata per i 2 giorni à la campagne ammirando magnifici paesaggi, ma schiacciati ed accaldati in un piccolo seggiolino con lo zaino tra le gambe in totale scomodità. Lungo il viaggio v'è lettura blog ad alta voce e canti da scuola media/canzoniere italiano intervallate a piccole parti di canti rwandesi intonate da Justine nel gruppetto bianco-straniero-stonati al fondo del bus.
     Oltre gli sconfinati bananeti incontriamo il Lake Mukasi, mentre pezzi di strada non asfaltata in curva creano costantemente un rischio d'incidente e noi, spaventati della guida simil rally dell'autista gridiamo: “Go slow, chaffeur!”.
      Scendiamo dal bus per prendere un cambio. In questo secondo pezzo di strada riempiamo il bus da guinness dei primati per utilizzo di spazio, con gente su due livelli per ogni sedile. Quest'ultima mezz'ora d'inferno ci porta alla nostra sistemazione per la notte, dove lasciamo gli zaini per dirigerci alla “Festa del villaggio” in mezzo a bananeti tra alcool, cibo, danze tradizionali e polvere rossa nell'aria mischiate ai raggi caldi del tramonto.
      Assaggio finalmente la tormentata birra di banane nonché di sorghum, conosciuta per sudata lettura delle 450 pagine del Chrétienne. Moltissimi bimbi si mettono in posa nella loro totale spontaneità, mentre v'è tempo anche per una scherzosa "Photo Battle" con un altro ragazzo del luogo: si crea un gruppo tutto attorno che mi circonda dando vita ad un piccolo evento del villaggio, dove prima ci facciamo foto a vicenda, poi ci scambiamo le macchine e dopo diversi tentativi si riesce ad arrivare ad una immagine non sfocata con grandi applausi di tutti i giovani.
     Chiedo un'altra Mutzig, ma dato che il vuoto deve essere tassativamente restituito (quando riferisco delle nostre discariche qua mi prendono per matto) per non pagare il vetro, mi affretto a bere per poi regalarla ad un nonnetto del luogo simpaticamente sdentato.
     Dopo il tramonto ci si dirige sulla strada del ritorno per dei sentieri tra bananeti nella totale oscurità chiacchierando con Leo sul grande tema ”croire ou comprendre?”. Si fa cena in un piccolo localino con menù del tutto prevedibile ma con una nuova proposta culinaria: una frittatina, forse con cipolle, ma almeno un gradino oltre il famigerato chapati nudo e crudo. Si rifanno i letti, si scrive qualcosa e poi le luci si spengono mentre sul netbook si scolpiscono i ricordi e si rielaborano gli eventi.
     Nella notte sono svegliato da una luce che mi cade addosso cercando la porta di uscita per conato di vomito: è una nostra compatriota che lotta per la salute nel dubbio che sia malaria oppure una semplice febbre, o chi lo sa.



    Maichi-Bu-ntu si propone per una nuova foto Unicef con i piccoli simpatici talentuosi nativi Tullio de Piscopo.


4 Agosto, Day 11. C'est la grippe!

     Per essere alle 9.30 alla stazione dei bus Nyabugogo si prende la solita mototaxi che, attraversando l'aria fresca del mattino e mille difficoltà, ci porta in una piazza piena di gente e pulmini di 4 compagnie di viaggio facenti manovre tra la folla con scarsa attenzione alla vita umana. Cercando il bus per Butare Huye ci si fa una giro tra chioschetti vendenti ogni genere di oggetto, negozi di cellulari, strumenti musicali (con 4 chitarre appese al soffitto e nulla più), piccoli alimentari e agenzie di vendita biglietti.
Troviamo Ilaria, dottorandi, Italian Friends e ci dividiamo su due bus causa congestione passeggeri percorrendo delle magnifiche strade fuori Kigali tra bananeti, piantagioni di thè e risaie con mondine annesse.
     Rotoliamo verso sud meglio dei Negrita per due ore; io continuo a starnutire e fare etcì per la polvere rossa nel posto dietro al guidatore godendo però della fresca aria delle verdi colline rwandesi.
Un piccolo schermo a lato dello chaffeur rimanda in loop due dico solo due video musicali: un rapper pappone che parla al cellulare e fa foto con il suo nuovo gioiellino mentre la scritta Tigo è ovunque (è tra le maggiori compagnie telefoniche del paese); un cantante pop che canta nella campagna ed in riva al mare con una donnona soul in montaggio alternato. Alle volte ci si concede anche della radio rwandese con dj non certi di avere i pezzi richiesti dal pubblico a casa, che presto mi annoio a sentire concedendomi un sonnellino che male non mi farà di certo.
     Aprendo gli occhi noto a lato strada un pick-up rovesciato tra degli alberi che alza il numero degli incidenti di questi giorni in modo esponenziale. Piantagioni di banane e sorpassi azzardati ci portano alla fermata tra il Museo Etnografico e l'Huye Main Campus, l'università statale del Rwanda.
      Non posso rifiutarmi di offrire un paio di Sambussa ad una coppia di fratellini -uno vestiti di stracci e l'altro in sedia a rotelle- per poi pranzare con un “piatto Bomba misto” senza alcuna novità di gusto o consistenza alimentare.
     Il Dorigatto si lecca le ferite alle zampe ingaggiando infermieri de temps en temps e movimentando motard per acquisto garze/bende. Le alternative di attività pomeridiane si dividono tra un potenziale Memoriale con un annunciato effetto macabro deflagrante sensibilità ed una visita al Museo/Università. Si opta per la seconda soluzione rimandando alla prossima gita cadaveri e memorie dolorose.
     Passeggiata con tosse+raffreddore da terra rossa ingolfante le vie respiratorie e inondante fazzoletti su fazzoletti, c'est la grippe. Con difficoltà io e il Dorigatto riusciamo a passare oltre un fiscale servizio di sicurezza d'entrata all'università accompagnati a vista da un agente. Più tardi ci raggiungono gli altri italians, diamo un occhio alla disposizione della Main Library ed il capo della sicurezza ci segue fino all'uscita della grande pineta costeggiante tutto il campus.
     Aspettando il bus della Sotra mi avventuro senza volerlo nell'acquisto di tre uova sode rivestite di pastella fritta che di certo non giovano a migliorare la qualità del cibo di questi giorni.
     Sulla strada del ritorno la luna è gialla, piena di sé e mi ricorda la copertina di “Mellon Collie and the Infinite Sadness”: provo una gran voglia di ascoltare “33” coccolandomi nel contempo in questa atmosfera fatata in un bus che si muove nella più totale oscurità nel centro dell'Africa.
   Durante il viaggio v'è un incidente alimentare con origine yoghurtifera che manda una nostra compatriota in bagno più volte ed in diverse zone del Paese, prima di arrivare e correre per contrattare da un privato un'ultima capatina nel parcheggio dei bus. La giornata è stata lunga, ed il viaggio finale in moto verso casa, tremolante e santificante il mio raffreddore, dà il colpo di grazia alle mie ultime forze con le quali vi saluto.




Sonatube Road ed i famosi motards su è giù per la strada alzanti nubi di polvere rossa in faccia alla luna che fa capolino da un angolo del cielo.

3 agosto, Day 10. [...] ma io ricordavo Marvin Gaye in altri contesti.

    La sveglia è un pò pigra, la luce del mattino dalle finestre invita a dormire senza preoccuparsi di niente e nessuno, il diario di bordo mi rilassa con serena composizione di frasi esilaranti...perché uscire a ricercare fenomeni strampalati, dunque?
    Il dovere chiama, e dopo una breve colazione ecco che prendo il kit del buon etnografo (reflex, camera, rec audio portatile) e del buon sopravvivente (soldi, cellulare, caricabatterie, ricarica del cellulare rwandese). In solitaria contratto con due motards un prezzo stracciato che uno rifiuta ed un'altro accetta, ma in cambio prende delle scorciatoie per strade battute, camion, operai nell'intento di costruire case, pedoni sbadati, caprette e bambini, buche giganti e passaggi su tavole di legno superanti scoli dell'acqua...tutto ciò per tagliare e risparmiare tempo, ovvero per poter fare altre corse. Una Parigi-Dakar senza Parigi, Dakar o deserto sabbioso, ma con lo stesso male al culo per i salti sul sellino.
    Arrivato finalmente all'ADEPR, seppur in ritardo di una mezz'ora, scopro che non c'è nessuna figura istituzionale conosciuta ma solo fedeli nell'intento di provare cori a tre voci. Per fortuna due ragazzi si offrono come interpreti in francese, divenendo presto i miei informatori per le 6 ore di rituale.
    Tutto inizia in sordina, tra basi midi di pessimo gusto e canti dallo stile già digerito ampiamente. Spazi di silenzio si intervallano ad enfasi emozionali, con la guida di una figura principale e due minori, che intervallano con i loro carismi tenendo banco dans l'èglise.
    Questo "evento" intervalla offerte, letture, canti, estasi con tremiti causati dall'Holy Ghost tradotti culturalmente dagli informatori Amata e Umudugu -rispettivamente un lui di 30 ed una lei di 22-. Definire tutto ciò un rituale è in effetti del tutto riduttivo: concerto, conferenza, spazio di riflessione, spazio di condivisione, luogo di ascesi e trance mistica, catarsi collettiva ed individuale, luogo di redenzione e risoluzione di problemi quotidiani sono forse solo alcuni dei termini utilizzabili...
     Un James Brown colpito da tremiti e convulsioni, saltante con un microfono dal lungo filo in mano, urla guidato dallo Spirito un messaggio incalzante con pose da comico, performer, intrattenitore, gestore di anime ed emozioni cantando come un usignolo soul tra Marvin Gaye e una non riconosciuta voce blues. Di certo la capacità di trascinare è alta. Le musiche creano con ben poco delle cattedrali di suono e tutti sono partecipanti al massimo con grida catartiche che esplodono di punto in bianco, incalzanti una fase di cambiamento non -razionale.
    Se di primo acchito è tutta una follia, dopo qualche ora si riconosce un senso; dopo ancora altre due ore, seppur esausti, si accede alla sua logica -almeno a grandi linee-. La testimonianza di una donna prostituta redenta con tanto di "foto prima+in carne ed ossa dopo" sono motivo ironico di una mia battuta con l'informatrice, tutta preoccupata di dire le cose giuste. Le domando, guardando la differenza, se lo Spirito Santo faccia dimagrire. Non può che sghignazzare tra sè e sè mentre mi informa del famoso "dono delle lingue" che, essendo intervallato al kinyarwanda, non è da me affatto riconosciuto se non negli "spari emozionali" che ciclicamente tornano con qualche coccolone da spavento. 
    Si intervallano i carismatici guidatori di masse con stili corporei e linguistici molto differenti, a cui Benigni ruberebbe volentieri qualcosa nelle movenze. Queste performazioni durano anche 45/50 minuti, in cui -secondo info di seconda mano- si sviscerano problemi, avvenimenti, mischiati a letture e urla da ossessi, che magicamente tornano in una quiete serafica e al massimo raccoglimento. Un festival, un varietà di anime coinvolte all'ombra di una Verità Assoluta che sanno spiegare piuttosto maluccio rifugiandosi sempre in qualche versetto. La relatività ovviamente non è di casa, ma nonostante le loro richieste di leggere e seguire ogni 5 minuti La Parole sono rispettosamente interessati a punti di vista e riflessione differenti. V'è certo una genuina ingenuità in tutto ciò, ma di certo la loro collaborazione e umiltà li rende persone gentili e disponibili pur nella loro eccentrica espressione di sentimento religioso.
    Alla fine del lungo service il Master of Puppets mi invita nel suo ufficio dove mi offre una cake ed una coca, chiedendomi il più ed il meno della ricerca giornaliera, ringraziando la giovane interpretatrice del suo apporto e fissando una intervista per venerdì. La moglie dei suoi 8 figli si congratula dicendomi che sono “un vrai rechercheur” perché ho resistito tutte le ore del rituale con piena attenzione.
    Stremato dall'avere assistito a deliri in-consapevoli tutto il giorno, sono accompagnato dal mixerista autore di uno sfogo carismatico che mi domanda soldi perché “in Europa siamo tutti ricchi” per il suo imminente matrimonio. Gli rispondo che i poveri ci sono anche tra di noi, e di certo non sta parlando con un ricco; lo informo infine sul fatto che diversi italiani pensino l'Africa come uno scatolone di miseria e nulla più, e ride dicendo che qua in Africa ci sono anche molti benestanti. Insomma: stereotipi su/da entrambi i fronti, tanto per cambiare.
     Prendo una mototaxi e torno a casetta bramoso di una doccia, di 5 minuti di normalità non-estatica. Dopo aver goduto dell'acqua fredda con lago interno annesso -poiché non c'è uno scarico a terra- con i campioncini di sapone da viaggiatore, ci si mette in viaggio dopo una navigata internettiana con un motard sottocasa. 
    Il traffico è bestiale; vivo i passaggi tra camion, macchine e pedoni, ovvero il solito inferno della guida in mototaxi tra smog e rischio. Dopo aver passato un marciapiede e risaltati in strada su due ruote, ecco che un casco rotto a metà ed una pozza di sangue mi gelano il sangue. Attorno la scena di un incidente con moto bollata parcheggiata a lato di un autoarticolato, la polizia circonda il corpo di una donna distesa ed immobile sul marciapiede. Il traffico continua a sfilare via e la scena raccapricciante mi fa decidere che prenderò mooolto più spesso i bus, anche se il più delle volte non c'è altra soluzione di movimento se non i bikers. 
     Dopo una venti minuti di viaggio e passaggi per strade buie, pedoni invisibili e luci indefinite lontane in movimento, si arriva al Bar Piano in Niamyrambo dove incontriamo tutti gli amici italiani d'istanza in Rwanda e non solo. Una tavolata intera ordinante bocconcini di maiale arrosto e banane fritte con una Primus o una Mutzig di contorno. Per la giornata di lungo lavoro digiunante e tra matti mi concedo un bis con uno spiedino dal sapore di fegato (rabuchette) e patate fritte per non farmi mancare qualche cibo leggero. Salta la luce, la luna quasi del tutto piena si staglia nel cielo e lumi di candela incoraggiano gli occhietti stanchi a chiudere serranda. Lunghi saluti, un ritorno in moto al freddo dell'equatore che mi vale un raffreddore e brividi lungo la schiena, un sonno bramoso di quiete ed anche oggi è un altro giorno passato nella "Svizzera Africana".



I famosi motards, scugnizzi napoletanrwandesi che s'infilano in ogni centimetro disponibile di una strada asfaltata e non, regalandovi emozioni e facendovi imprecare.