Alzataccia in vista
di una giornata molto lunga ma proficua. In primis vediamo Taru, che
ci porta a fare colazione in un bar-chioschetto sulla strada, dove
prendiamo cakes, uno yoghurt
rwandese confezionato e una Fanta per il nostro cumpari japanese.
Azzardarsi ad usare un cucchiaio in tale posto mi libera da ogni
timore epidemico, ma di certo non mi soddisfa dal punto di vista del
gusto, sempre molto basso. Ci dirigiamo ad iniziare la ricerca sul
campo tra i mattacchioni cristiani di terza generazione, e dopo
essere passati per Pastori, mogli, sovrintendenti e bambini
meravigliati dell'uomo bianco, aspettiamo per due ore un miracolo e
delle convulsioni, ma nulla accade. In compenso si raccolgono foto,
riprese video e contatti per interviste. Una donna che sostiene di
essere guarita da violenti attacchi d'asma si propone come interprete
in francese ed un giovane responsabile come traduttore dall'inglese
dal momento che tutti parlano e celebrano rituali in kinyarwanda.
Nella chiesa-lamiera circondata da marmocchietti curiosi e donne che
domandano soldi, tutti si dimostrano disponibili alla ricerca e
sempre molto entusiasti di poter partecipare.
Con
il giovane interprete-informatore Bonaventure mangiamo un pranzo
buffet al karibu, dove
gli offriamo volentieri per un paio d'euro un servizio molto alto per
parecchie persone qui a Kigali. Parliamo di moltissimi argomenti,
anche molto delicati, ed abbiamo ancora l'impressione che una nuova
generazione di giovani sia ben lontana dai conflitti che hanno
lacerato questo paese con tale ferocia.
A
gran sorpresa Bonaventure tenta di baciare Irene salutandola con con
fare da gnorri dopo
averle proposto matrimoni e dollari sonanti. La nostra eroina
risponderà con un secco “no!” ed un “preferisco il longboard”.
Io ridacchio e mi defilo lasciando che la coppietta prenda il suo
tempo, ma nulla accade sotto il cielo di Kigali.
Arrivati da Kai impacchettiamo gli zaini, riceviamo una carinissima
composizione giapponese in carta come regalo, e lo salutiamo
vivamente per il grande appoggio che ci ha dato in questi giorni col
suo divano dismesso e polveroso ma indispensabile. Ci regala la sua
ultima perla di saggezza domandando ad Irene: “why a rollerboard??”
con spiccato accento giapponese e che mi procura un maldipancia da
risata per 10 minuti.
Gonzagh ci fa arrivare un taxi sotto casa e per una modesta quota ci
scarrozzano con tutti il bagagliamentato nella nuova casetta di
Marianne. Trattative telefoniche a più voci per elettricità e
acqua, scintille fragorose per un prezzo di compromesso -che non può
ch'esser sempre alla portata di chiunque venga dall'Europa- ed infine
l'accordo. Passiamo dal divano di Kai ad una casa con giardiniere e
domestico, una camera singola a testa con lettone matrimoniale e
zanzariera a baldacchino, un giardinetto con cancellata indipendente
sulla collina più ricca e sicura di Kigali: meno di cento euro per
un mese intero.
Marianne
ci presta le lenzuola grandi come i lettoni su cui spaparanzarsi in
santa privacy a scrivere e leggere come su una scrivania ben protetti
dalle mosquitos che
gironzolano sibilanti. In serata usciamo a prendere qualcosa per le
colazioni facendoci un bel pezzetto di strada in salita rivestita in
porfido, guidati da una gentil donna in abiti tradizionali e bambino
appresso che ci indica la strada per un bus in direzione. Arriviamo
al Kigali Institute of Education (KIE), l'Università locale
sorvegliata da militari armati -all'entrata e lungo tutto il
perimetro-, a cui possiamo accedere lasciando un documento e
prendendo un badge per
visitatori. Un campus non enorme ma comunque ben sviluppato e curato,
con alloggi per studenti e campi per praticare sport che ci fanno
pensare a come possiamo avere avuto Palazzo Nuovo per anni, noi, a
Torino.
Usciamo
e seguiamo con lo sguardo i militari indolenziti lungo la strada, per
poi incappare dopo qualche minuto in una ennesima chiesa dove due
pastori-rapper guidano una cerimonia che pare un contest
per versetti sacri e sacred
stuff. E' davvero singolare
vedere gente in estasi tifante i botta e risposta dei due
rappresentanti dell'africa occidentale ed orientale qui riuniti
questa sera. Il caso ci ha portato nell'ennesima situazione che più
antropofagica non si può e che potrà essere utile per la mia parte
della ricerca dal punto di vista religioso. Mi presento al Pasteur,
prendiamo appuntamento per fare delle riprese e delle fotografie e
poi scappiamo via da quel covo di gentili invasati -come tutti gli
altri, in effetti-. L'agenda s'infittisce di interviste, riprese,
conoscenze nuove e numeri di telefono, appunti e considerazioni tanto
che presto finirò la mia piccola cara moleskine.
Uscire
di casa e camminare senza bus è il miglior modo per vedere ed
incontrare l'altro tanto
discusso e sondato in esami con montagne di libri. Sulla via di casa
ci chiama Marianne preoccupata che non ci fossimo persi -già prima
d'uscire ci aveva proposto l'assistenza del suo domestico/nipote a
tal fine- intervallata da Gonzagh che ci aspetta per una birretta e a
cui proponiamo di comprarne un paio da consumare nel nostro nuovo
place. Dopo aver fatto
l'ultimo pezzo di strada rossa non asfaltata né illuminata, coperti
dalla polvere alzata dalle mototaxi di passaggio, finiamo nel living
room di Marianne in un allegro quadretto familiare. Intervalliamo
francese ed inglese -con Gonzagh ponte tra il kinyarwanda
se necessario- sbrodolando
l'oggetto delle nostre ricerche, parlando dei permessi per allungare
il visto e delle nostre origini, passando per diversi temi tra cui
anche lo scontato genocide.
Su quest'ultimo tema con i nostri giovani informatori non abbiamo
riscontrato problemi finora, ed anzi Bonaventure ritiene che molti
vogliano parlarne apertamente per liberarsi di un peso; in realtà
ciò avviene solo tra locali, e gli stranieri devono sapersi creare i
giusti canali per poter accedere a considerazioni etniche comunque
vietate dal governo.
Dopo
aver bevuto una Primus ed una Mutzig, con Marianne preferente una
panaché a base di
Fanta, ci docciamo con acqua fredda e campioncini di sapone
ritrovando le serenità dei sensi ma anche un abbiocco immediato.
Saltiamo cena per bilanciare l'esagerazione del pranzo con
Bonaventure, e dopo esserci scambiati i file della ricerca sul campo
la giornata più lunga e fruttuosa finisce con la stesura del diario
di bordo. Attività piacevole su un letto gigante solo per sé, con
una sorta di zanzariera-canadese tutto attorno, con lo spazio per un
libro di Fante e l'agenda con gli appunti presi in giornata,
ricordando gli avvenimenti trascorsi con piacere ed interesse che
lasciano le palpebre cadere lievi, appoggiate al cuscino rivestito
dalla mia scarf colorata
d'Istanbul. Tra il boyscout adolescente in tenda ed il colonialista
ricco con pochi euro, tra l'antropologo bazzicante per il
centro-Africa e il neo-adottato nipote della madame di
casa, tra la sonnolenza e l'entusiasmo di scrivere righe su righe
just for fun, just for memory,
ma crollando dopo solo 5 minuti.
Ecco uno dei numerosi locali ove potrete sorseggiare la vostra Primus e/o la vostra Fanta con meno di 1000 rwf (pochi spicci più di un euro).
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