Sveglia anche prima
che il gallo canti. L'Africa mi fa dormire poco, chissà come mai.
Marianne si prepara
per andare ad un matrimonio con rituale
semi-tradizionale+semi-moderno e mi gasa l'interesse antropofagico
forse più delle reali aspettative. Anche noi oggi dovremmo andare ad
un matrimonio ma i programmi sono di presenziare al pranzo dalle
13.00; invece, credendo di andare allo stesso evento di madame,
mi vesto ed accompagno Paolo con macchina foto appresso. Questo
pastrocchio di date e luoghi simili si riveleranno semplicemente
facenti capo a due matrimoni diversi, in posti vicini e orari
identici.
Prendiamo
due motards, ci
dividiamo per un rosso troppo lungo ad un incrocio, poi il tassista
su due ruote finisce
la benzina in mezzo la strada: io scendo dalla sella, lui corica la
moto sull'asfalto per recuperare le ultime gocce dal serbatoio ed
arrivare giusto giusto ad un distributore a 200-300 metri. Dunque
rimette in moto e spero si ricordi la traduzione del suo collega in
kinyarwanda per
arrivare a destinazione, perché di fatto non so quale sia il luogo.
Fortunatamente il posto è molto conosciuto, pago la quota e mi
dirigo alla sala dei matrimoni civili.
La
nostra coppia arriva palesemente in ritardo, prende posto ed è
subito flashiata da un'enorme faro sparato in viso da un cameraman
dal totale dubbio estetico. Si
contano 7 fotografi e 3 telecamere affollanti la sala ed
incrociantesi gli uni sugli altri in scene esilaranti che mi
suggeriscono di fare un servizio su di loro e non sui festeggiati.
Uscendo, ancora alcune foto con amici e parenti di ogni qualità e
gusto; poi si prendono tre macchine e si fa un servizio nell'ex luogo
di lavoro della sposa (ma perché proprio qua?) per sfruttare il
setting floreale/arboreo. Risate per l'ego pronunciato
delle damigelle bramose di essere immortalate a tutti i costi,
ritratti soddisfacenti e poi di nuovo in macchina verso casa, molto
bene addobbata e con evidente lunga costosa organizzazione.
Si
tira fuori la macchina e da qui in poi non ci si fermerà più. La
sposa da qualcosa da mangiare a me e Paolo per poi invitarci a
lavorare tutto il pomeriggio; ci porta in una stanza a parte, ci fa
servire piattoni misti e Mutzig fredda,
ci presenta tutte le sue parenti, facciamo due parole e poi “hop!,
in piedi à travailler!”.
Sotto
un gazebo le due famiglie mettono in scena una contrattazione per i
rispettivi figli. Scambio di doni/bibite/scotch,
monologhi tra capi rappresentanti, testimoni ed altre personalità
rilevanti. Arriva anche un finto pastore con muggito di sottofondo a
rappresentare simbolicamente la dote bovina di un tempo, oggi soldi
in contanti. Un corpo di danza giovanile si rifà all'India -così
come anche la sposa- con sonagli ai piedi, arti snodati e colori
accesi: ci si domanda se sia l'influenza delle telenovela preferita
di Marianne ad avere creato questa febbre indiana.
Ci
si intrufola da tutte le parti, vediamo tremors
e la sua mano s-ferma rovinarci i punti di vista, ci si arrampica, ci
si mette a filo terra, ci si spinge tra invitati, ci si ci si ci
si...si fanno 3-4 ore piene di buon lavoro per fare un regalo agli
sposini.
Affamati,
riusciamo a prendere qualcosa dal buffet senza
code chilometriche, sorseggiando Primus caldiccia portata da un
cameriere istigante stati di ebrezza. Verso il tramonto si fanno due
chiacchiere con gli invitati, poi si fugge aspettando che Juventine e
amiche prendano un bus per Nyamirambo apprendendo qualcosa per il
dizionarietto kinya.
Piccola spesa al supermarket italiano,
cena fatta male e post-produzione selvaggia di foto della giornata.
E' un lavoro molto lungo: speriamo che almeno al nostro karma
giovi qualcosa, dato che il
portafoglio ha deciso di fare beneficenza in questa occasione per i
giovani maritati.
Si va avanti fino all'una e mezza di notte poi si crolla, si riflette
e si crolla, si parlocchia in chat e si crolla ed in mezzo a tutti
questi crolli si trova anche la voglia di andare a nanna.
Maichi-Bu-ntu nell'intento di rèportageare l'evento matrimoniale messo su un trespolo con il suo teleobiettivo. Foto gentile dono di Paolo Cravello (e/o Cravotto).