sabato 20 ottobre 2012

19 ottobre, Day 87. Sambusa, chocolate bars e Nero d'Avola d'importazione.

     Svegliarsi e sapere d'avere una lunga giornata. Non c'è un goccio d'acqua, o meglio solo mezza tanica utilizzabile giusto per una piccola toilette mattutina. Ho ancora una montagna di vestiti da lavare, dunque assoldo Maometto per comprare acqua e sapone e lavorare di gomito facendogli guadagnare qualcosina. Prezzi, inutile dirlo, più che accessibili. 
     Mi preparo a rileggere la presentazione, il personal report, le profezie di Celestino, l'oroscopo di Frate Indovino, poi mi addormento di sasso e mi risveglio alle 11 rilassandomi e suonando qualcosina caldo del mini-concertino di ieri sera, poi chiamo K. ed attendo che arrivi con le scarpe non troppo eleganti ma certo più presentabili delle mie Asics “Terra rossa” in diretta da casa di AZ. Ed è con quest'ultimo che mi prodigo in una “Ten cent pistol” dal gusto romantico, all'arte della piegatura estrema delle camicie e alla deposizione della giacca elegante nello zainone da trasportare fino al Kie.
     D'un tratto prende vita una tormenta portentosa di vento, sabbia e pioggerellina: esco di corsa a recuperare i vestiti appena lavati e fortunatamente me la cavo solo con qualche scrollata di sabbia dagli abiti a terra. Attendo la fine del nubifragio mangiando qualche chapati special e poi dritti al Magda per parlare con l'altra fetta del mondo e comporre le idee per la serata. Qui inizio a fare un sano brain storming sul tema principale della mia ricerca, collego idee ed arrivo alla solita conclusione che tutta questa faccenda è, in fondo, un sistema complesso.
     Prendo una moto carico di uno zaino enorme con tutti gli abiti di scena e schizzo al Kie, dove passo un'ora a fotocopiare e rilegare gli ultimi documenti, consegnare i frutti del mio sudore e prepararmi col vestito della festa (improvvisato per la serata finale ufficiale; chicca del collage semi-elegante ma comunque molto convincente: scarpe Air Jordan bianche da vero collezionista cestista, gentile dono strampalato di AZ per l'occasione).
     Mi chiama J. sul cellulare dicendomi che verrà per l'occasione per parlare da ospite ufficiale; di seguito anche Dimitri e tutti gli amici del quartiere. Qualche piccolo problema risolto in seguito per mancanza di un documento d'identità di K. e poi dritti alla presentazione che parte alle 19 e qualche minuto. Le domande in seguito alle 73 slide sono molte, differenti, arricchenti la discussione; gli apprezzamenti molti, buoni, con la soddisfazione di aver terminato con un buon lavoro i tre mesi di ricerca e di aver creato una buona base di partenza per la scrittura della tesi.
    In seguito alla festa suono una classica “Ain't no sunshine”, cavallo di battaglia chitarra-voce; una piccola festicciuola con sambussa & chocolate a cui aggiungo una bottiglia di Nero d'Avola, “my favourite italian red wine, guyz”. In seguito si recuperano tutti i bagagli, chitarra, giacchetta della festa e digital camera compresa. 
    Prendiamo un taxi per Gisozi e, dopo aver scaricato tutti i bagagli da AZ, sogno di fare una vera cena presso un baretto solito di quartiere. Il risultato è pessimo: un'ora e più per le solite brauchettes con patate, conto non troppo economico e la voglia di andare a casa dividendo le spese per il primo taxi disponibile. Scendiamo in 4 dal veicolo, poi dritti a nanna. Sono stanco morto per la lunga ultima giornata di fatica per meningi in Rwanda.





    Al termine dell'ultima serata di fatica per meningi in Rwanda, la mente è placida e rilassata come le acque del Kivu al tramonto. Foto Maichi Ntwari Pashcal.

18 ottobre, Day 86. Brauchettes avec pommes de terre: piatto nazionale ampiamente collaudato.

     Sveglia non forzata seppur dal sonno irregolare a causa del maledetto sole equatoriale del mattino. Oggi mi ricordo di prendere per l'ultima volta in Africa il pasticcone di Lariam.: la solita sensazione d'avere ingerito qualcosa di vomitevole, brontolii e rigurgiti stomacali, cali di umore immotivati. Mi reco per una breve colazione con K. al ristorante di quartiere, poi vado al Kie trovando una riunione ufficiale e poco spazio per lavorare.   
    Dunque procedo verso il Bourbon a lavorare alla chiusura del personal report in inglese da consegnare pre-partenza, mi scolo il mio solito french press con biscotti alla vaniglia mentre l'effetto del pasticcone sale silenziosamente, subdolo, come un cane che intriga alle tue spalle colpendoti da vigliacco solo quando ti sei girato. Vado a stampare le 80 e più pagine totali prese dai diversi documenti: l'addetta alla stampa mi dice che assomiglio ad un Cristo appeso nell'ufficio, sotto la cui immagine intravedo la scritta in italiano: “il vero volto di Geù ricavato dalla Sindone dall'elaboratore della Nasa”. Le traduco la frase in francese e le spiego che abito proprio a due passi dal Duomo dov'è contenuta la reliquia: strano ma vero, il mondo è ancora una volta molto paurosamente piccolo.
     Torno a Kacyiru ove trovo un gruppetto di amici del quartiere -e non solo- a casa del Campione: qui suono qualche canzone di repertorio e tutti insieme jamminghiamo qualche pezzo del padrone di casa. Dopo un paio d'orette di divertimento ci dirigiamo in direzione cena, ch'arriva solo un'ora dopo causa grande attesa per brauchettes avec pommes de terre. K. continua la serata con la sua pétite amie, io vado a dormire ma non senza aver prima scritto la mia puntata quotidiana.




    Gli amici del quartiere jamminganti allegramente col Maichi-bu-ntu.

17 ottobre, Day 85. Pescatori sul lago Kivu: legno, chiodi e fibra di cotone per galleggiare sull'equatore.

     Sveglia e doccia calma-calma aspettando la voglia di non essere pigri ed esplorando il mondo internettiano. Chiedo alla reception informazioni riguardo una colazioncina adeguata per un povero studente squattrinato: vengo fatto accomodare di fronte al lago con caffè, pane tostato, omelette naturale, succo d'arancia dedicandomi nel frattempo alla stesura della moleskine rossa e riflettendo sul da farsi negli ultimi giorni rwandesi.
     Mi godo la splendida giornata e la cornice panoramica di primo effetto, poi pago circa 2 euro, saluto ed esco per una passeggiatina verso l'altra costa del lago. Qui trovo bambini intenti a tuffarsi da pontili in legno e grandi colline inzuppate nell'acqua intente a guardarli. Proseguo e torno sulla strada principale per poi risalire verso il centro del paese, dove seguo la direzione opposta a quella dell'hotel passando per un piccolo centro abitato. Risalita una collina dove motard e taxisti lavano i loro mezzi, trovo una vista mozzafiato: sulla destra navi tradizionali con lunghi rami curvi tenuti da corde all'estremità e pescatori con cui scherzosamente faccio delle foto con gran meraviglia di tutti i paesani. Poco lontano trovo una spiaggetta sabbiosa con un piattissimo Kivu ed in fondo, nella nebbia, sfocata, vedo la grande isola congolese raggiungibile in 4 ore circa a remi.
     Si avvicinano due ragazzi che mi portano la loro barca in legno grezzo e mi propongono un giro per guadagnare qualcosa. Rispondo che non ho tempo, devo tornare a Kigali di tutta fretta, e che proprio non posso fermarmi ancora, non un minuto di più: la verità è che invece su quella barchetta non ci salirei affatto per andare in mezzo al Kivu. Resto fermo con i piedi a mollo mentre si fanno comunque fotografare in posa sulla loro barca per poi salutarmi ritornando indietro con i loro cento franchi guadagnati. Si avvicina dopo di essi un altro ragazzo curioso che rimane lì, fermo come un baccalà pur senza poter parlare alcuna lingua europa, per più di mezz'ora. Strampalati innocui individui rwandesi.
     Continuo dunque sulla strada e vedo una cooperativa di pescatori riparante delle reti con lunghi aghi da cucito, un vecchietto che mi chiede molti soldi per nulla ed il capo più giovane che accetta 500 rwf per fare tutte le foto che vogli. Un magnifico reportage appassionante, uno scenario davvero antropologicamente interessante dal punto di vista visivo.
    Torno indietro mentre nere nuvole cominciano a piangere dal cielo. Uno spuntino e dritti a prendere il bus per Kigali delle 15.30. Viaggio noiosetto ma fattibile che, con un po' di musica nelle cuffiette, diviene certamente più sopportabile.
      Da Nyabugogo continuo dunque per Kacyiro. Arrivato a casa cerco la giacca per venerdi sera e faccio due chiacchiere con K e Ramsete per poi scappare dritto al ristorante greco per l'addio agli italiani causa partenze e rinnovo visti incerti. Si beve qualcosa e si gioca a carte napoletane chez les italiens per un paio d'ore, poi intercetto una moto sulla strada di Gatenka Expo e torno a casa. Entro recuperando la chiave nel posto segreto e mi ritiro a scrivere le ultime puntate della mia telenovela rwandese.





    Giro in barchetta e vista sul lago Kivu. Foto Maichi Ntwari Pashcal.

16 ottobre, Day 84. Isole tropicali in zuppa d'acqua dolce.

      Mi alzo prima della sveglia quando il sole tarda ancora a sorgere poiché la nanna è iniziata molto precocemente causa tramonto ore 6p.m., no luce elettrica, no attività disponibili. Esco di casa alle 6.30 a.m., poi vado dritto a Nyabugogo Taxi-Bus Parking con la prima moto che mi capita sulla strada dei ministeri, sopra casa. Piccola colazione con ingredienti scelti e testati: ikivuguto, cake, chapati. Di seguito vado alla Capital Transports per prenotare il mio biglietto da 2600 rwf con due ore e mezzo di viaggio circa davanti al naso. Il posto non è dei migliori ma è in fondo al bus, e non troppo stretto: ho quasi la quasi forza d'abitudine, oramai, d'affrontare le scatolette di tonno Toyota da 24 posti senza troppa noia.
     Arrivo a vedere il Kivu con “la canzone del sole” nelle cuffiette ed ammiro le sue lunghe braccia distese in mezzo a colline verdeggianti tuffantesi nel lago; a Kibuyie attracco alle 9.45, scendo dal bus e mi dirigo in direzione di un hotel sussurratomi da K.: il Golf Residence. Piccola spiaggetta con navi, scaricatori di porto di casse di birra e bibite Bralirwa, servizio di sicurezza ed un prezzo per una cameretta che passa da 30 mila a 10 mila franchi nello spirito d'aver capito i rwandesi ed il loro gusto alla contrattazione. Una doccia calda (meravigliosa novità dopo tre mesi), un piccolo relax e poi esco trafelato dalla voglia di esplorare questo magnifico lago.
      Vado prima di tutto alla Bank of Kigali per recuperare i soldi con i quali mangiare il solito menù diponibile nel paese. Ritornando sui miei passi trovo una chiesa cattolica in pietra con vetrate colorate ed una stutua del santo con le chiavi in mano della baracca principale, St.Peter. V'è anche un sito memoriale con teschi e scapole in vetrina e la grande scritta “Never Again”, per la gioia degli stomaci più deboli e delle menti suscettibili. Ridiscendo per la strada principale verso la spiaggia ove sono accompagnato verso la barchetta che mi porterà alle little islands di fronte la costa di Kibuyie.
    Dritti con gli chaffeurs per andare all'isola della pace (Amahoro) e Napoleon in una traversata di 20 minuti fino alla prima, altri venti verso la seconda. Incrociamo la nave del presidente che taglia il grande lago diretto verso nord mentre noi, con la barchetta ciondolante, arriviamo a destinazione senza problemi e godendoci un panorama che per me è una novità strabiliante ma per i due chaffuer rwandesi un film visto 500 volte.
     L'isola della pace è un piccolo paradiso composto da due isolotti nella tranquilla marea del Kivu, con campo da volley, bar con scritta “fiduciamo nell'aiuto di Dio”e cucina minimale. Il costo per attraccare è di 1000rwf con una bibita compresa, ovvero un euro e poco più per un'isola tropicale con passeggiata di sassi sull'acqua e promenade tondeggiante con vista Congo in lontananza. Quattro chiacchiere con il simpatico gestore dell'isolotto delle meraviglie, poi si torna in barca dai pirati morigerati in attesa del mio ritorno per viaggiare attraverso il piccolo mare dolce.
    L'isola dei pipistrelli, ovvero Napoleon, è la cosa più particolare che vi possa capitare di vedere: alberi pieni di pipistrelli cicciottelli aggrappati ai rami che il mio chaffeur spaventa con sassi lanciati a terra. L'effetto è quello di grida sorde nell'aria e di una nube di pipistrelli spaventati nel cielo, del tutto innocui per l'uomo. La caverna di Batman fa ridere i polli: qua l'azzurro è tinto di puntini neri con ali dalla faccia di topo ed uno sfondo meraviglioso. Il lago Kivu brilla della luce pomeridiana, seminato di atolli verdi spuntanti dall'acqua, immerso in una temperatura estiva e con un sole mordente: un paradiso tropicale che dovrebbero vedere tutti prima di passare a miglior vita.
    Torniamo indietro mentre la mia faccia arrostisce come un peperone alla griglia dell'equatore e, spaparanzato sulla testa della barchetta, ammiro un panorama davvero fenomenale per gli occhi antropofagici che trovano la ricompensa alle lunghe ore passate a capire la parola “etnografia” in moduli su moduli per anni su anni.
   La cena è composta da un panino con patatine fritte davanti al pc seguita da una birra rilassante. Mi godo la solitaria scampagnata in paradiso (come dimostrato dalla statua di San Pietro vista questa mattina). Dopo aver parlato su Skype, chiacchierato con i receptionist allegramente in francese ed inglese, mi guardo in serata la partita di calcio per le selezioni dei mondiali di calcio con dei rwandesi ospitali ma beoni controllati. Mutzig a volontà guardando Francia vs. Spagna con l'occhio stanco ma rilassato, mentre scrivo la puntata della telenovela rwandese e guardo gli highlights del Manchester City sulla tv satellitare. Dopo l'ultimo gol, vado dritto a nanna.





    Amahoro Island e chiesa cattolica di Kibuyie. Foto Maichi Ntwari Pashcal.