Poco importa elencare le meraviglie culinarie ingollate con ingordigia
durante la Pasqua (cristiana cattolica) o la Pasquetta (trionfo laico
della carne alla brace) o i giorni seguenti per finire gli avanzi delle
feste (religiose e non). Gesto ben più alto è, invece, ricordare la
leggendaria discesa del Lagavulin in terra senegalese. In omaggio al
celebre recensionista culinario pluripremiato
dal popolo di Trip Advisor, un episodio memorabile della sua lunga
onorata carriera che presto diverrà una fiction Rai per famiglie bigotte
trasmessa in prima serata.
Quando Lagavulin decise la meta per
le sue vacanze in terra africana, ben s'informò nella sua agenzia
viaggi di fiducia sulla qualità culinaria del paese di destinazione. Si
può dire che fu un pieghevole di un locale senegalese (dimenticato da
una turista soddisfatta della sua vacanza appena conclusa) a
convincerlo, a dispetto di spiagge bianche e mare color verde/azzurro
cui non dava importanza alcuna. «Al diavolo l'indice di sviluppo umano,
contano le recensioni dei ristoranti 5 stelle!», sosteneva l'esperto,
convinto che la vera morte dell'essere umano fosse solo la mancanza di
qualità in cucina. Lui era e rimaneva un recensore pluripremiato del
celebre sito "Trip Advisor". La sua parola era pressoché sacra, la sua
approvazione contesa dai migliori chef presenti in rete. Nonostante
campasse scrivendo recensioni «meno maligne» chiudendo talvolta un
occhio sugli «amici di sempre» (Fonte: Il Cucchiaino Storto di Bari,
2003) che gli arrotondavano lo stipendio - oltre che riempirgli il
ventre - la sua era una lotta per la sopravvivenza e la coerenza di
principi. Laddove si doveva stroncare, non si lasciava spazio alla
comprensione; se vi era da massacrare, si agiva con fermezza e crudeltà.
Costui era IL Lagavulin.
Arrivò a Dakar con il primo volo
della giornata, recandosi subito nell'albergo con vista sull'oceano
prenotato dall'agenzia. Tutta quell'acqua e quella meravigliosa vista
non gli interessavano affatto, tanto che teneva le tapparelle chiuse
lasciando entrare solo la luce sufficiente per leggere le recensioni sul
suo vecchio pc. Non conoscendo alcuna lingua straniera oltre il
norvegese, per qualche assurda ragione (che sfidava la sua costante,
testarda ricerca della "Verità" culinaria) si fidava delle traduzioni
offerte da Google Translator. Fu proprio grazie alla recensione di una
neozelandese in menopausa intitolata "Kitchen from hell" che scelse il
suo pollo africano da spennare. Si recò al grande ristorante sull'oceano
più scelto dal popolo T.A. prendendo il primo taxi, sferzato dal vento
del tramonto carico di odori che gli ricordò per un attimo la potenza di
sapore del tortino alle mele di mamma Isabel Günter, gustato quando
aveva quattro anni («Il mio lavoro è, in fondo, cercare qualcuno o
qualcosa in grado di eguagliare quel tortino», La Repubblica
Traballante, 2004). Scese spazientito dal taxi per avere perso 5 minuti
di troppo a causa di un semaforo rosso, non lasciando la mancia ma anzi
sbattendo la portiera insofferente di tutta quell'incompetenza. Il 7
stelle Michelin "La Rochelle" era osannato per la sua lunga storia di
qualità, ricercatezza, gentilezza, cattivo gusto nella scelta
dell'arredamento (necessario per sembrare molto ricercato), costante
odore di pesce alla brace nell'aria.
Lagavulin si sedette
guardando fisso il menù, oltepassando lo sguardo del cameriere, dei
vicini di tavolo, ovviamente già preparato sulla scelta da farsi. «Menù
numero tre, "Afrique Super"!». Nell'attesa dell'arrivo del suo piatto
unico a base di pollo alla piastra, gamberetti in salsa rosa/verde e
banane fritte, posizionò attentamente in modo parallelo le sue posate di
fianco al piatto e guardò fisso davanti a sè il volto di una scultura
che rappresentava una figura allungata nera con abiti coloniali bianchi.
Il suo volto da uomo burbero e barbuto a metà tra Orson Welles e Bud
Spencer si scurì al settimo minuto d'orologio passato ad attendere. Il
piatto arrivò con ben 10 minuti di ritardo secondo la sua tabella di
marcia. Mangiò un gamberetto, la pelle del pollo, mezza fettina di
banana. Chiese il conto praticamente nel momento stesso in cui il
cameriere s'allontanava dal suo tavolo. Il navigato direttore di sala,
per qualche assurda ragione, non fu affatto stupito di quel
comportamento bizzarro. Anzi, chiese se volesse il dolce. Alla fine del
suo "pranzo degli orrori" durato un paio di minuti, gli venne presentata
LA specialità, il cavallo di battaglia della città, il fuoco
d'artificio finale: un dolce tipico della costa occidentale africana a
base di salsa di arachidi, uva secca e cous-cous. Concesse due ulteriori
minuti alla servitù e chiese di farsi chiamare un taxi per guadagnare
tempo. Il cucchiaino s'immerse nella crema color sabbia del deserto, a
suo parere evidentemente mal dosata e mal presentata. Tirò fuori mezzo
cucchiaino, assangiando con la punta della lingua la salsa dolce. Fu
amore a primo gusto. Immerse il primo, il secondo cucchiaino, si
meravigliò di domandare il bis (solo la Günter ebbe questo onore in
precedenza), poi un terza, una quarta coppetta. Ne fece un consumo
spropositato, fregandosene delle macchie di arachidi sullo sciarpone di
seta rossa in stile "critico cinematografico snob francese" che soleva
indossare in queste grandi occasioni. Alla sesta coppetta accusò il
colpo, e sudando freddo domandò ove fosse la toilette. Credendo di aver
risolto quel piccolo problema fisico, ne chiese un'altra, convinto che
il locale dovesse ancora meritarsi la sua buona recensione. L'abuso del
dessert fu tanto grave ed irresponsabile che si finì per chiamare un
dottore in sala, mentre la vergogna di Lagavulin salì alle stelle fino a
fargli perdere i sensi. Pare che delirarando ad alta voce chiese
l'aggiornamento del suo status su Facebook in: "seriamente dolorante ma
soddisfatto".
Il brutto incidente tuttavia non minò affatto la
grande fama del recensore Trip Advisor nel corso degli anni a venire.
Anzi, ne accrebbe la fama di spericolato sperimentatore aperto alle
culture geograficamente ed antropologicamente lontane dalla sua natìa
Norvegia. IL Lagavulin è ancora vivo e vegeto, e continua a ricattare
con patetica eleganza i suoi "amici" ristoratori.
Foto:
"Lagavulin all'epoca della sua prima recensione presso una piadineria di
proprietà sino-cingalese a Prato" by Ntwari Bear II. Divertissement
senza impegno a cura di Mika von Puskjin.
