Il dolce risveglio in
un letto vero, grande, non comodissimo ma più che discreto, mi da la
sensazione di aver dormito per la prima volta dalla partenza
torinese. Coccolandomi nel lettone matrimoniale scrivo il diario di
bordo, rileggo la puntata precedente e ripenso alla successione degli
avvenimenti. Torno a dormicchiare, riscrivo ma poi Irene arriva
affamata e con news del tutto inaspettate/eccentriche.
Salutiamo Marianne,
la nostra madame-zia/ziona che
ci prepara un thè con le foglie in polvere ch'abbiamo comprato ieri,
complimentandosi per la buona scelta e facendoci capire perché il
Rwanda è tra i maggiori esportatori mondiali di caffè e thè. Col
nostro yellow bread gigante e la nostra marmellata alle fragole+finta
nutella facciamo colazione mentre la servitù di Marianne lava le
lenzuola con cenere, acqua e sapone. Stesi ad asciugare creeranno la
perfetta atmosfera da casa coloniale con maggiordomo e giardiniere di
fiducia fedeli al loro padrone.
Marianne si offre di darci un passaggio alla MTN per risolvere i
problemi di connessione internet da cellulare. Arrivati a
destinazione controlla dalla macchina che prendiamo la giusta via con
affetto e spirito materno.
Dopo aver realizzato di doverci dirigere in un altro posto più
centrale, rimandiamo la diatriba telefonica e prenotiamo due mototaxi
per dirigerci al Kigali Genocide Memorial Center. Basta un mezzo
sguardo di approvazione per avere attorno 6 bikers che, offrendo il
casco, ripetono: “me!me! Come with me!”, accerchiandoci tipo
cintura di forza. Scelgo il ragazzo di fianco a me, accettiamo il
costo della paga ed inizia un'esperienza da cagarsi sotto.
Kigali
è una città trafficata di giorno dove ognuno guida liberamente o
almeno senza troppo preoccuparsi delle regole. Se ci aggiungete moto
leggere che s'intrufolano tra i passanti, i camion, le auto e che
vanno il più veloce possibile, eccovi ottenuta la tensione su due
ruote. Precipitare per i tornanti su e giù per le hills
della città toccando quota
90km/h, su una discesa con curve alla Valentino Rossi e pensare che
il casco non è della tua misura: eccovi riassunto il tutto. Dopo 20
minuti di patema, arriviamo al Centro, paghiamo la modica cifra e ci
promettiamo di non prenderna più una.
Il Genocide Memorial è ben tenuto, organizzato e pensato. Didascalie
sintetiche e semplici riassumono la divisione etnica sin dal
colonialismo tedesco, passando per gli anni del partito unico fino al
'94 e all'RPF, riuscendo ad essere ben accessibili a tutti. Prendo
appunti con calma mentre scorrono immagini terribili e informazioni
ancor peggiori. Finito il giro su due piani (l'ultimo dedicato ai
genocidi nella storia e al massacro dei bambini), ci si concede
leggerezza con un pranzo al bar del Centro.
Modici
prezzi per un pranzo reale firmato Dorigotti ed una coca con omelette
di frutta per me. A terminare
caffè rwandese very-strong-very-good (quasi quanto il thè
mattutino) mentre navighiamo wi-fi free. Terminata la pausa, un salto
all'Archivio del Museo dove una ragazza ci mostra come fruire del
database più terrificante mai raccolto prima, probabilmente. Vedendo
un filmato breve di un ragazzo che racconta la sua testimonianza mi
sorprendo di guardarlo sfilare al mio fianco verso una scrivania,
mentre con lo sguardo cerca la mia attenzione per poi dirmi: “I
recognize my face”. Mi presento dopo aver finito il filmato ove
lui stesso raccontava di aver visto i suoi genitori e fratelli uccisi
barbaramente nei minimi dettagli. Con pacatezza spiego chi sono e il
mio progetto di ricerca in atto, per poi scambiarci i contatti con
questo ragazzo coetaneo dal passato terribile.
Uscendo,
un breve salto agli ossari vicino ai giardini gestiti da cooperative
locali -uno degli aspetti della ricostruzione nazionale-
e poi di nuovo, necessariamente, dobbiamo prendere i mototaxi. Il
viaggio di ritorno ricorda più bikers napoletani
che rwandesi, intrufolantisi tra gli specchietti e le strette auto
con rischio infarto assicurato ogni 30 secondi.
Aspettiamo
Marianne con cui parliamo di lavoro, figli, università, curiosità;
le mostriamo le foto di Istanbul e veniamo a scoprire i suoi commerci
a Dubai in thè, caffè ed altri prodotti per l'import/export. Il suo
nipote/domestico è bene informato sulle news dal Congo e ci spiega
le ragioni e gli interessi economici dietro l'M23: ascolto bene per
capire se dovremmo affrontare un'altra guerre oppure
no durante la nostra permanenza!
La
sera tentiamo di prelevare da una ATM della Bank of Kigali ma nessuna
banconota ci viene concessa. Incontriamo Bonaventure con cui facciamo
cena con del fried chicken
davvero pesante ed unto, nemico della salute del fegato umano.
Bagniamo il tutto con della Mutzig 33cl e facciamo i conti con gli
ultimi spiccioli rimasti, a cui il nostro giovane informatore
aggiunge qualcosa per pagare il conto. Parliamo in inglese e francese
di argomenti connessi alla ricerca sul campo, senza remore neppure
per argomenti collegati al '94 né all'M23, di cui conosce alcune
persone amiche attiviste nel Kivu. E' interessante notare la grande
preparazione linguistica di molti giovani che parlano, oltre due
lingue europee, anche la loro complessa lingua bantu locale. Dopo
essersi riempiti per la prima volta di vero junk food
africano torniamo a casa e
salutiamo l'Irene's spasimante, le Bonaventure.
Nous
allons frapper la porte à Marianne per farci aprire poco dopo la
mezzanotte, svaccarci sul lettone in tranquillità e solitudine dove
il diario di bordo prende forma e le memories sono
impresse sul netbookino.
Quando
sono vicino al dormiveglia ecco che il telefono squilla: è
Bonaventure che ci ringrazia per le due mangiate fatte insieme, per
le chiacchiere e per il bon temp/good time passato
insieme, speranzoso di vederci le prossime sere per mantenere la
relazione sul campo e sviluppare i temi affrontati. Una piccola
grande soddisfazione antropofagica, dopo tutto.
Il giardinetto sul retro della casetta da padroncini bianchi in vacanza e gli abiti al caldo venticello di Kigali.
Il giardinetto sul retro della casetta da padroncini bianchi in vacanza e gli abiti al caldo venticello di Kigali.
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