mercoledì 1 agosto 2012

1 agosto, Day 8. Da oggi più ricco di foto, fibre e situazioni improbabili.


   Sveglia alle 6.30 dopo tre orette di sonno scarso per prepararsi ad andare all'appuntamento per l'intervista con Beatrice à l'ADEPR. Alle 7.30 a sorpresa giunge la chiamata della testimone che si dice non possibilitata a dare il suo contributo se non prima di avere parlato vis à vis con il potente Pastore. Dunque tutto è rimandato al suo ritorno dall'Indiana tra tre settimane. Infastidito dal bidone e dal rimando a data non certa, torno a dormire giovato almeno di riposarmi ancora un po'. Mi risveglio alle 9.50, mi faccio una doccia veloce e poi je donne l'argent del mese a Marianne; con quest'ultima ci mettiamo d'accordo per un contrattino scritto che dimostri di aver versato la somma pattuita.
Uscendo Irene porta con sé il longboard, ed inizia la sua giornata di follia che presto vi snocciolerò nel dettaglio. Prima di uscire Marianne, suo nipote ed io ripetiamo: “nous ne sommes pas d'accord d'aller en skate à Kigali!”.
    Ci dirigiamo all'Ufficio Immigrazione (Mifotra, ministry of public service and labour) dove dovremo incontrare Ilaria ed avere notizie sul prolungamento del visto. Dopo aver fatto coda, ecco che l'impiegata chiama Ilaria, poi me. Con nonchalance tiro fuori i documenti necessari, le foto, i form per il rinnovo, la lettera del KIE -che è uno strumento potente a quanto pare-. Manca solo una lettera di raccomandazione personale e la cifretta da pagare, come al solito, in Rwanda. Niente male, dopo tutto, per uno Stato a partito unico.
   Tornando verso l'uscita incontriamo ministri e personalità importanti che vengono rinominate “gli Alfano sconosciuti del Rwanda”, ovvero coloro che sono importanti ma-anche-no.
    Ci dirigiamo a cercare il luogo ove si proiettano film di registi africani e non solo, ma c'imbuchiamo in un posto dove qualcuno pensa che vogliamo comprare dvd masterizzati (!) avendo capito tutto tranne ciò che chiedevamo. Arriviamo infine dopo mille fraintendimenti al Goethe Institute, dove si creano contatti per Illywood, festival del cinema g-locale. Qui assisto ad una partita di basket playground rwandese e faccio qualche foto ad un tir dismesso commutato in libreria, mentre un pellicano prende il volo a due metri di distanza e la sabbia rossa mi fa bruciacchiare gli occhi, la gola.
    Irene prova ad andare sul longboard seguendo la linea dell'equatore e su una discesa ripidissima con un'asfalto di pessima qualità. Cade al primo minuto, si sbuccia gomito, ginocchio e s'inzacchera la maglietta di terra rossa mentre un gruppo di 10 africani assiste e scoppia a ridere. Non contenta va sulla statale, anche in contromano, mentre i militari di stallo agli uffici governativi la guardano e le auto strombettano. (Ma non finisce qui...).
    Con Ilaria incontriamo per pranzo amici e dottorandi italiani, piccola comunità mangiante un piattone “bomba” misto di legumi, spaghetti, banane e chissà cos'altro da innaffiare con una salsa di foglie di manioca ed un pezzetto di carne di dissidente politico. S'infittisce il dizionarietto kinyarwanda:
-acqua, “Amazi”;
-pane, “Umugati”;
-caffè, “Ikawa”.
Con queste tre parole dovrei riuscire a sopravvivere o almeno a restare sveglio/iperteso.
    Finito il pranzetto prendiamo una mototaxi -che Dio ce ne scampi, ma sono troppo comode!- e dopo il solito patema tra il traffico cittadino arriviamo alla sede di Illywood. Qui, dopo aver preso contatti e fatto un breve giretto nella sede, inizia la sventata tragedia.
    Mentre mi dirigo a cercare due moto per tornare a casetta, vedo Irene ritirare fuori lo skate. Faccio finta di nulla per cercare di dissuaderla all'ennesima piena volontà di fare cazzate, poi mi giro e la perdo. La cerco per venticinque minuti nei quartieri ricchi, mentre ho il suo cellulare e so che non ha più soldi -avendo dovuto pagare una coca ed un acqua a lei e al direttore tecnico di Illywood perché senza contanti-. Dunque prendo una moto e torno da Marianne sperando di trovarla lì. Non c'è. Con madame contattiamo Gonzagh, poi avverto Ilaria, e nel mentre prendo soldi, telefoni e netbook per andare al KIE a vedere se sia passata di là. Ilaria propone di chiamare la polizia, Gonzagh di andare all'ambasciata, Marianne mi suggerisce di andare al KIE. Non la trovo, avverto Jolly dei documenti necessari per il visto e l'evento “Does Dorigotti gest lost?” diventa caso nazionale, poi Marianne mi chiama e avverte del suo ritorno à sa place. Riprendo la moto, contratto 500 frw e rischio uno scontro con un camion intento a girare: qui è il minimo che ti possa capitare avec les motards.
   Apro il cancelletto, busso e trovo un Dorigatto testa china scusantesi, mentre con Marianne rassegnati pensiamo: “Qu'est-ce qu'on va-t-elle dire?!?”. Cala il silenzio, la cazziata e la speranza di un barlume futuro di raziocinio, j'éspere.
     Alle 19.30 inizia il canto del muezzin che registro dal giardino della casetta rimanendo affascinato dal mix cicale, luna crescente, calduccio notturno equatoriale, brace per la cottura delle bananes et legumes che Marianne e Sexehbé (si pronuncia così, ma chissà come si scrive) stanno preparando per noi come primo piatto.
    La “riunione familiare” mette al vaglio la questione Dori-board, con una cazziata in triplice lingua; Marianne fa una preghiera prima di cominciare a mangiare la résumé seguita da riso e verdure al vapore da innaffiare per bene con la sauce di verdure.
     In serata si finisce con il bloggheraccio selvaggio, infastidito da mosquitos -forse malariche- noiose e appuntite, furbe nell'intrufolarsi nei buchetti della zanzariera a baldacchino e fischiarti all'orecchio per innervosirti nel dormiveglia. Ieri pomeriggio all'ora del thé ho preso il mio pastiglione di Lariam e, dunque, tecnicamente ho già la malaria: non mi resta che sterminare questi fottuti insetti che dopo il tramonto deridono la tua pazienza mettendola a dura prova. Come molti altri esseri umani, dopo tutto.


Il Dorigatto dopo aver fatto la marachella all'equatore. Voci dicono si proponga una bizzarra trovata anche per ogni longitudine e latitudine (Fonte: telefonate di sociologi all'ora di cena).

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