Mi alzo sentendo
Marianne cinguettare qualcosa su un funzionario governativo che ci
aspetta in salotto per prendere i nostri dati e “per la nostra
sicurezza”. Di fatto, dopo una pisciatina porgo il passaporto ad
una gentile signora che ci saluta in francese e kinya segnando
due dati su un foglietto, per poi invitarla a fare colazione con noi.
Poco dopo trascino anche Marianne nel vortice pane e marmellata e
facciamo quattro chiacchiere amichevoli con una bella tazza di thè
forte, fumante e della migliore qualità rwandese. Il gentile agente
governativo è felice di vedere studenti italiani motivati e
pluri-lingue: per questo ci dedica la sua preghiera prima di
cominciare ad azzannare la sua fetta di yellow bread
con fare umile e gentile. Finita la colazione e prese le carte per
andare al KIE, Marianne ci da un passaggio fino alla Kigali Bank ben
contenta di farci prelevare i soldi dell'affitto.
Riproviamo
come ieri dalla macchinetta ATM ma tutto tace, dunque ci dirigiamo
all'interno ed un responsabile intercede con noi presso la
direttrice. Riproviamo in sua presenza ed arriviamo alla conclusione
che sia un problema di carta di credito. Cambiamo dunque contanti
europei per non morire di fame questi giorni e rimandiamo un
tentativo al Kabè, la banca centrale de la ville.
Prendiamo
delle mototaxi per andare al Kie, spendiamo i soliti 500frw, lasciamo
i nostri documenti e i guest badges.
Un giretto su e giù a cercare una wi-fi libera che non troviamo
aspettando che Ilaria arrivi e ci introduca al settore Gender
Studies, attraverso cui dovremmo passare/essere stagisti. Tutto il
personale e colleghi sono molto gentili, compresa la capessa della
situazione, Jolly, a cui Irene dona il cognome d'arte
“Rwenzori”. Si fanno chiacchiere sul piano di lavoro, i propositi
delle ricerche, i contatti presi e quelli che si possono creare.
Tutto è molto “Ok, guys! Have a good work!”: di certo trovare
una volontà di cooperazione e giovani così volenterosi rende il
tutto più facile, appagante.
Usciti
dal Kie accompagniamo Ilaria a comprare delle stoffe al Kimironko
Market, dove troviamo delle lenzuola doppia piazza a buon prezzo
post-contrattazione per far sì di restituire le lenzuola
imprestateci. Come ogni buon bazar esplodono
i colori, gli odori, gli scorci e mi prometto di tornare con macchina
foto appresso per un set dedicato di una intera mattinata, almeno.
Esplosioni di frutta, teli di iuta messi a terra pieni di mais e
legumi, manioca appesa alle bancarelle, facce incuriosite del turista
pronto da spennare o del bianco con far girovago, spazi ristretti e
poca luce, il fascino della contrattazione senza punti di riferimento
reali e la confusione animata di una città africana.
Dopo una breve
spesa e delle riprese Go-Prorigotti, ci mangiamo qualcosa in un
ristorantino tipico fatto da tre tavoli, un bancone grezzo e sedie
sparse con un buon numero di locali. Il menu, per soli 1800 rwf in
tre, prevede tutto ciò:
-“Ikivuguto”,
bicchierone di yoghurt fatto lasciando semplicemente del latte a
fermentare con un'aggiunta di caglio. Ha la puzza di cartone della
Centrale del Latte UHT andato largamente a male, ed è una prova per
gli stomaci ed i palati più forti. Ne bevo metà, ma credo di
raggiungere comunque 1/4 di litro. Se il saporaccio iniziale ti fa
domandare il perché di tutto ciò, al secondo-terzo assaggio
stranamente inizi a non trovarlo malaccio. Comunque sia, non potrà
jamais davvero piacermi ma forse è impossibile esprimere un
giudizio su una tale strampaleria;
-“Ibishimbo”,
legumi scuri con qualche erba amara, buoni;
-”Chapati”,
dischi di pastella di mais, supporto per i fagioli o altri
condimenti, molto buoni;
-”Sambussa”,
triangolini ripieni di carne e/o verdure, ovviamente fritti
ovviamente per la gioia dei fegati di tutta l'Africa orientale.
Buoni;
-“Imyumbati”,
manioca, stoppacciosa e insapore; ti sembra di mangiare un ramo verde
e di chiederti poi la ragione di quella follia. Da subito una
immediata sensazione di pieno nello stomaco e credo una posticipata
sensazione di s-vuoto più avanti di qualche ora al bagno.
Scorrono i bus verso il centro in totale competizione per
accaparrarsi clienti, senza badare al traffico, ai pedoni, alle
mototaxi o qualsiasi cosa si muova. Continuano così, a superarsi
per avere la testa della fila e dunque i primi clienti in attesa alle
fermate, con un ragazzo appeso alla porta dell'uscita incitante i
suoi potenziali neo-clienti. La sfida è aperta.
Risolviamo i problemi con Mtn/Atm, facciamo una piccola spesa e di
nuovo i pazzi scugnizzi rwandesi in mototaxi al tramonto si
divincolano tra le due corsie piene di tir, macchine, altre moto con
la fretta di finire la corsa e con Maichi-Bu-ntu sul sellino
posteriore. Se c'è un ingorgo, pas du problem, si passa su un
marciapiede, tra due benzinai, si saltano buche, ci si butta tra i
due centimetri disponibili tra un autoarticolato e un fuoristrada,
dopo tutto dobbiamo guadagnare 5 minuti per fare un'altra corsa!
Preparo per Marianne, Sexebah (un nome in un'altra lingua bantu
con cui Madame chiama il suo nipote/domestico) e il
Dorigatto un piatto di pennette tonno e pomodoro ben riuscite, in
quantità. Il giudizio dei nativi è: "c'ètatit bon et c'ètait
bien preparè!”. Piccola soddisfazione per il cuoco Maichi-bu-ntu.
Domani Marianne ci preparerà delle banane à la rwandese per
ricambiare il gesto.
Dopo
cena la nostra ziona ci parla del Rwanda, della guerra civile, di
stragi e testimonianze, accenna qualcosa della sua storia mentre ci
taglia dell'ananas e lo mangiucchio dispiaciuto del dispiacere che
traspare dai suoi occhi. Parliamo di temi da antropofagi, che la
interessano molto e l'affascinano ancor di più. Da un'occhiata alla
mia copia italiana di “Triste Tropiques” ed è colpita dalle
differenze stranianti espresse dalle foto in Amazzonia di
Lévi-Strauss in mezzo la rilegatura. Si continua a parlare e
chiacchierare con un thè pre-notte, poi Bonaventure au
téléphone
fa due parole con Irene ed io voto sempre all'unione tra i due, con
quota dote in mucche arrivata a 20 capi.
Si scrive il diario di bordo, si
sonnecchia, si riscrive e poi si crolla. Et voilà,
la journée s'est terminé!
“Ikivuguto” e diario di campo Moleskino impregnato d'inchiostro. Nessun maldipancia registrato a causa loro -finora- nello stomaco del Maichi-Bu-ntu.
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