Alle sette iniziano battiti incessanti di pugni su una costruzione dove le mura di fatto non esistono:
solo compensati e vetri leggeri, rotti e sporchicci. Ci si sveglia,
volente o nolente, ben prima della sveglia desiderata trovando, nel
salotto rusticamente arredato con sculture congolesi, 7 persone la
cui funzione mi è tuttora sconosciuta. Non so perché o per come, ma
la situazione è questa: a metà tra un bistrot et une èglise
affolata, la mia cameretta diviene un porto di mare.
Do
i miei vestiti da lavare (post un mese di pensieri dedicati ad
altro), poi con K. usciamo a prendere la famosa chitarra africana,
più rara di un leone rwandese. Niente di che, ma comunque suonabile
con accordatore pro e
plettro durissimo: ringrazio il produttore musicale e torno con il
trofeo a casa. Passiamo con Marvin a prendere dell'ikivuguto
e chapati in un
baretto sulla strada, dirigendoci dunque alla base dove si suona un po' mangiando i piatti nazionali rwandesi.
Scappo
in centro per poter lavorare al progetto da presentare a fine mese,
ai nuovi blog in cantiere e tirar giù idee per le interviste
programmate del pomeriggio. Mi piazzo al Bourbon, sulla grande
poltrona in stile muzungu
spremendo le meningi tutto il tempo necessario. Cerco
con estrema difficoltà una pila da 9 volts per l'accordatore più colorato
d'Africa dans le centre du ville ed a seguire prendo una moto dritto a Nyamirambo
per fare ricerca.
La solita discesa attraverso le baracche, attorniato
dalle solite grida “muzungu!”,
arrivando alla solita chapel
di lamiera dove vengo accolto da un responsabile che mi porta
nell'ufficio del pastore. Quest'ultimo m'informa del suo incontro col
responsabile legale e mi reindirizza verso una persona che parla
maluccio il francese ed un'altra che intervisto con l'apporto di J.
(chiamata appositamente pour moi).
Faccio
un'intervista ancora degna di una puntata da documentario sui misteri
africani ma ben più seria: tre ore di sudore mentale, dopo le quali torno finalmente a
casa a suonare per altre tre ore con la famosa chitarra africana di
contrabbando.
Con
K. in serata si parla dell'expo,
dei dubbi, delle cose ancora da fare; si scende all'atelier, si passa
dal produttore nel mio nuovo quartiere della città, s'imbastisce la grafica dell'evento e si fa un brain storming
generale sul momento, l'Africa e chissà cos'altro. Non è di certo facile trovare la quadra giusta per tutto ciò.
E' mezzanotte, un mosquito mi rincorre e lo frego
entrando nella zanzariera sul materasso poggiato a terra. Domani si
lavora, sarà meglio dormire.
Bambini della piovosa periferia di Kigali. Foto Maichi Ntwari Pashcal.
Saluti a J.- se è chi penso... <3
RispondiEliminaNo, è un'altra... ;)
RispondiElimina