giovedì 4 ottobre 2012

2 ottobre, Day 70. Leoni, gazzelle e chitarre africane.

    Alle sette iniziano battiti incessanti di pugni su una costruzione dove le mura di fatto non esistono: solo compensati e vetri leggeri, rotti e sporchicci. Ci si sveglia, volente o nolente, ben prima della sveglia desiderata trovando, nel salotto rusticamente arredato con sculture congolesi, 7 persone la cui funzione mi è tuttora sconosciuta. Non so perché o per come, ma la situazione è questa: a metà tra un bistrot et une èglise affolata, la mia cameretta diviene un porto di mare.
     Do i miei vestiti da lavare (post un mese di pensieri dedicati ad altro), poi con K. usciamo a prendere la famosa chitarra africana, più rara di un leone rwandese. Niente di che, ma comunque suonabile con accordatore pro e plettro durissimo: ringrazio il produttore musicale e torno con il trofeo a casa. Passiamo con Marvin a prendere dell'ikivuguto e chapati in un baretto sulla strada, dirigendoci dunque alla base dove si suona un po' mangiando i piatti nazionali rwandesi.
     Scappo in centro per poter lavorare al progetto da presentare a fine mese, ai nuovi blog in cantiere e tirar giù idee per le interviste programmate del pomeriggio. Mi piazzo al Bourbon, sulla grande poltrona in stile muzungu spremendo le meningi tutto il tempo necessario. Cerco con estrema  difficoltà una pila da 9 volts per l'accordatore più colorato d'Africa dans le centre du ville ed a seguire prendo una moto dritto a Nyamirambo per fare ricerca. 
    La solita discesa attraverso le baracche, attorniato dalle solite grida “muzungu!”, arrivando alla solita chapel di lamiera dove vengo accolto da un responsabile che mi porta nell'ufficio del pastore. Quest'ultimo m'informa del suo incontro col responsabile legale e mi reindirizza verso una persona che parla maluccio il francese ed un'altra che intervisto con l'apporto di J. (chiamata appositamente pour moi).
      Faccio un'intervista ancora degna di una puntata da documentario sui misteri africani ma ben più seria: tre ore di sudore mentale, dopo le quali torno finalmente a casa a suonare per altre tre ore con la famosa chitarra africana di contrabbando.
     Con K. in serata si parla dell'expo, dei dubbi, delle cose ancora da fare; si scende all'atelier, si passa dal produttore nel mio nuovo quartiere della città, s'imbastisce la grafica dell'evento e si fa un brain storming generale sul momento, l'Africa e chissà cos'altro. Non è di certo facile trovare la quadra giusta per tutto ciò.
     E' mezzanotte, un mosquito mi rincorre e lo frego entrando nella zanzariera sul materasso poggiato a terra. Domani si lavora, sarà meglio dormire.




    Bambini della piovosa periferia di Kigali. Foto Maichi Ntwari Pashcal.

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