lunedì 29 ottobre 2012

24-25 ottobre, Day 92-93. Turkish Ntwari goes home.

     Ultimo giorno. E' il momento di cimentarsi con la difficile arte d'impacchettamento zaini e valigie. Riassumendo in breve: mettere e togliere vestiti, documenti e cavi per più di tre volte ricordando l'esatta posizione degli oggetti nel viaggio d'andata con l'aggiunta di ulteriori souvenir africani. Una gran fatica. Scorrono goccioline di sudore mentre utilizzo ogni millimetro all'interno dello zainone da imbarcare; il bagaglio di bordo pesa mezza tonnellata, ma poco c'è da fare in merito. Sono stanco morto per l'effetto del Lariam, ed esco per andare al baretto di quartiere per mangiare un piatto di boilo (bollito con banane e verdure in brodo, colazione boscaiola rwandese) con un chapati (più che bloggeristicamente conosciuto). Dalla faccia dei gestori direi che sono divenuto un cliente abituale: c'è molta differenza rispetto le loro prime espressioni facciali di quando videro un uomo bianco, giovane e solitario ordinare piatti di tradizione locale, bizzarro alieno in terra rwandese.
   Terminata la petit déjeuner torno a casa dividendomi tra ascolto di musica allo stereo, sonnellini, riflessioni, chiacchiere e preparazione di Nescafé in tazza piccola diluito con acqua tiepida. Con Championship scambio file musicali, ascolti, opinioni; con gli altri ragazzi parlo del più e del meno mentre una dolce bimbetta del quartiere scorazza nella veranda ed una tempesta s'abbatte per un'ora sul cielo di Kigali.
     Mi dirigo da Master Hola per salutarlo e passargli qualche novità in cantiere; a seguire tento un ultimo saluto alla chapel del quartiere dove ho fatto diverse interviste, ma la stanchezza avanza e la pioggerellina cade: sarà meglio rintanarsi ancora un pò in casa prima del volo. Esco solo nel tardo pomeriggio per andare al Magda, ove ritrovo il piacere di scrivere qualche riga ed inviare mail al resto del mondo, nonché la skypeizzazione pre-ritorno in patria.
     Il re dello yogurt rwandese mi chiama mentre sono intento a cercare una coppetta alla vaniglia per i saluti d'addio, poi esco e sorseggio per l'ultima volta la sua specialità italo-rwandese. Arrivato nel quartiere muoio dalla fame: consumo l'ultimo buffet a piatto unico nel ristorantino di quartiere ed un porzione di polenta di mais con sugo ai pescetti del Kivu non appena tornato a casa con tutti gli altri ragazzi. Ripongo i regali ed il libro dei ricordi firmato nella sacca del netbookino. Gli addii prendono il via.
   Prendo un taxi per 5000rwf in largo anticipo per evitare ogni genere di problema possibile immaginabile con documenti, militari, visti e bolle papali. Per fortuna va tutto liscio, nessuna preoccupazione, Hakuna Matata.
    Guardo un film proiettato in sala d'attesa su un atteraggio d'emergenza mal riuscito poco prima di prendere la strada attraverso il Gate: il modo giusto per rallegrare i passeggeri mentre la noia dell'attesa corre di pari passo con la palpebra calante.
    Ad un tratto scompare il volo dal cartellone, chiedo informazioni, ma è tutto sotto controllo: ci sono solo 3 voli, non si può scappare (in realtà si sale praticamente tutti sullo stesso volo per poi essere smistati a Entebbe e ripartire verso Istanbul).
    Il mattino dopo, arrivato nella città turca, mi avventuro alla ricerca d'un bagaglio in transito, poi corro al Gate 503 -altra estremità dell'aeroporto, ovvio- ed infine, tutto sudaticcio, salgo sull'ultimo aereo della giornata. Mangio le mie nocciole Turkish Airlines ed ammiro il panorama di nuvole simili a panna montata scrivendo le ultime memorie post-kigaline.
    Godo con gran sorpresa della qualità del pranzetto e noto con stupore un articolo su Torino e dintorni (con tanto di foto di Giaveno) su un giornale pubblicitario distribuito ad ogni passeggero. Poco manca all'arrivo dell'Airbus: sulla cartina multimediale appare già la fetta settentrionale del Bel Paese Galbani, mi sembra di sentire un “” (intercalare piemontese). Arrivato all'aeroporto trovo la mia dolce meta e metà, prendo la mia nuova sistemazione torinese da super meritevole e ceno in famiglia raccontando aneddoti ed opinioni sul misterioso continente africano.
Anche quest'avventura è giunta al termine.

P.S.: Luce solare tenue, fredda umida aria pedemontana, lingua familiare e gioventù coetanea. Un altro mondo, un altro ritorno. Capitoli d'un libro da terminare, continuare, ricordare. Concedetemi l'ultima foto pacchiana...grazie a tutti i lettori.




2 commenti:

  1. Murakaza neza iwawe! Tutto bene? Bilancio complessivo? Forse andrà chiesto a distanza di qualche settimana, una volta esaurite le scariche emotive del campo. bentornato!

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  2. Ciao e grazie! Tutto bene, si ritorna sempre con un pò di fatica ma anche molta più comodità e rilassatezza. Ora inizia il brain storming tesistico, altra scarica niente male...mike.

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