Ultimo giorno. E' il
momento di cimentarsi con la difficile arte d'impacchettamento zaini
e valigie. Riassumendo in breve: mettere e togliere vestiti,
documenti e cavi per più di tre volte ricordando l'esatta posizione
degli oggetti nel viaggio d'andata con l'aggiunta di ulteriori
souvenir africani. Una gran fatica. Scorrono goccioline di sudore
mentre utilizzo
ogni millimetro all'interno dello zainone da imbarcare; il bagaglio
di bordo pesa mezza tonnellata, ma poco c'è da fare in merito.
Sono stanco morto per l'effetto del Lariam, ed esco per
andare al baretto di quartiere per mangiare un piatto di boilo
(bollito con banane e verdure in brodo, colazione boscaiola rwandese)
con un chapati (più che bloggeristicamente conosciuto). Dalla
faccia dei gestori direi che sono divenuto un cliente abituale: c'è
molta differenza rispetto le loro prime espressioni facciali di
quando videro un uomo bianco, giovane e solitario ordinare piatti di
tradizione locale, bizzarro alieno in terra rwandese.
Terminata la petit déjeuner torno a casa
dividendomi tra ascolto di musica allo stereo, sonnellini,
riflessioni, chiacchiere e preparazione di Nescafé in tazza piccola
diluito con acqua tiepida. Con Championship
scambio file musicali, ascolti, opinioni; con gli altri ragazzi parlo
del più e del meno mentre una dolce bimbetta del quartiere scorazza
nella veranda ed una tempesta s'abbatte per un'ora sul cielo di
Kigali.
Mi
dirigo da Master Hola per salutarlo e passargli qualche novità in
cantiere; a seguire tento un ultimo saluto alla chapel del quartiere
dove ho fatto diverse interviste, ma la stanchezza avanza e la
pioggerellina cade: sarà meglio rintanarsi ancora un pò in casa
prima del volo. Esco solo nel tardo pomeriggio per andare al
Magda, ove ritrovo il piacere di scrivere qualche riga ed inviare
mail al resto del mondo, nonché la skypeizzazione pre-ritorno
in patria.
Il re dello yogurt
rwandese mi chiama mentre sono intento a cercare una coppetta alla
vaniglia per i saluti d'addio, poi esco e sorseggio per l'ultima
volta la sua specialità italo-rwandese. Arrivato nel quartiere muoio
dalla fame: consumo l'ultimo buffet a piatto unico nel ristorantino
di quartiere ed un porzione di polenta di mais con sugo ai pescetti
del Kivu non appena tornato a casa con tutti gli altri ragazzi.
Ripongo i regali ed il libro dei ricordi firmato nella sacca del
netbookino. Gli addii
prendono il via.
Prendo un taxi per
5000rwf in largo anticipo per evitare ogni genere di problema
possibile immaginabile con documenti, militari, visti e bolle papali.
Per fortuna va tutto liscio, nessuna preoccupazione, Hakuna Matata.
Guardo un film
proiettato in sala d'attesa su un atteraggio d'emergenza mal
riuscito poco prima di prendere la strada attraverso il Gate: il modo
giusto per rallegrare i passeggeri mentre la noia dell'attesa
corre di pari passo con la palpebra calante.
Ad un tratto scompare
il volo dal cartellone, chiedo informazioni, ma è tutto sotto
controllo: ci sono solo 3 voli, non si può scappare (in realtà si
sale praticamente tutti sullo stesso volo per poi essere smistati a
Entebbe e ripartire verso Istanbul).
Il mattino dopo,
arrivato nella città turca, mi avventuro alla ricerca d'un bagaglio
in transito, poi corro al Gate 503 -altra estremità
dell'aeroporto, ovvio- ed infine, tutto sudaticcio, salgo sull'ultimo
aereo della giornata. Mangio le mie nocciole Turkish Airlines ed
ammiro il panorama di nuvole simili a panna montata scrivendo le
ultime memorie post-kigaline.
Godo con gran
sorpresa della qualità del pranzetto e noto con stupore un
articolo su Torino e dintorni (con tanto di foto di Giaveno) su un
giornale pubblicitario distribuito ad ogni passeggero. Poco manca
all'arrivo dell'Airbus: sulla cartina multimediale appare già la
fetta settentrionale del Bel Paese Galbani, mi sembra di sentire un
“nè” (intercalare piemontese). Arrivato all'aeroporto trovo la
mia dolce meta e metà, prendo la mia nuova sistemazione torinese da
super meritevole e ceno in famiglia raccontando aneddoti ed opinioni
sul misterioso continente africano.
Anche quest'avventura è giunta al termine.
P.S.: Luce solare tenue, fredda umida aria pedemontana, lingua familiare e gioventù coetanea. Un altro mondo, un altro ritorno.
Capitoli d'un libro da terminare, continuare, ricordare. Concedetemi l'ultima foto pacchiana...grazie a tutti i lettori.
Murakaza neza iwawe! Tutto bene? Bilancio complessivo? Forse andrà chiesto a distanza di qualche settimana, una volta esaurite le scariche emotive del campo. bentornato!
RispondiEliminaCiao e grazie! Tutto bene, si ritorna sempre con un pò di fatica ma anche molta più comodità e rilassatezza. Ora inizia il brain storming tesistico, altra scarica niente male...mike.
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