lunedì 30 luglio 2012

29 luglio, Day 5. “Why a rollerboard??”

    Alzataccia in vista di una giornata molto lunga ma proficua. In primis vediamo Taru, che ci porta a fare colazione in un bar-chioschetto sulla strada, dove prendiamo cakes, uno yoghurt rwandese confezionato e una Fanta per il nostro cumpari japanese. Azzardarsi ad usare un cucchiaio in tale posto mi libera da ogni timore epidemico, ma di certo non mi soddisfa dal punto di vista del gusto, sempre molto basso. Ci dirigiamo ad iniziare la ricerca sul campo tra i mattacchioni cristiani di terza generazione, e dopo essere passati per Pastori, mogli, sovrintendenti e bambini meravigliati dell'uomo bianco, aspettiamo per due ore un miracolo e delle convulsioni, ma nulla accade. In compenso si raccolgono foto, riprese video e contatti per interviste. Una donna che sostiene di essere guarita da violenti attacchi d'asma si propone come interprete in francese ed un giovane responsabile come traduttore dall'inglese dal momento che tutti parlano e celebrano rituali in kinyarwanda. Nella chiesa-lamiera circondata da marmocchietti curiosi e donne che domandano soldi, tutti si dimostrano disponibili alla ricerca e sempre molto entusiasti di poter partecipare.
   Con il giovane interprete-informatore Bonaventure mangiamo un pranzo buffet al karibu, dove gli offriamo volentieri per un paio d'euro un servizio molto alto per parecchie persone qui a Kigali. Parliamo di moltissimi argomenti, anche molto delicati, ed abbiamo ancora l'impressione che una nuova generazione di giovani sia ben lontana dai conflitti che hanno lacerato questo paese con tale ferocia.
A gran sorpresa Bonaventure tenta di baciare Irene salutandola con con fare da gnorri dopo averle proposto matrimoni e dollari sonanti. La nostra eroina risponderà con un secco “no!” ed un “preferisco il longboard”. Io ridacchio e mi defilo lasciando che la coppietta prenda il suo tempo, ma nulla accade sotto il cielo di Kigali.
    Arrivati da Kai impacchettiamo gli zaini, riceviamo una carinissima composizione giapponese in carta come regalo, e lo salutiamo vivamente per il grande appoggio che ci ha dato in questi giorni col suo divano dismesso e polveroso ma indispensabile. Ci regala la sua ultima perla di saggezza domandando ad Irene: “why a rollerboard??” con spiccato accento giapponese e che mi procura un maldipancia da risata per 10 minuti.
  Gonzagh ci fa arrivare un taxi sotto casa e per una modesta quota ci scarrozzano con tutti il bagagliamentato nella nuova casetta di Marianne. Trattative telefoniche a più voci per elettricità e acqua, scintille fragorose per un prezzo di compromesso -che non può ch'esser sempre alla portata di chiunque venga dall'Europa- ed infine l'accordo. Passiamo dal divano di Kai ad una casa con giardiniere e domestico, una camera singola a testa con lettone matrimoniale e zanzariera a baldacchino, un giardinetto con cancellata indipendente sulla collina più ricca e sicura di Kigali: meno di cento euro per un mese intero.
   Marianne ci presta le lenzuola grandi come i lettoni su cui spaparanzarsi in santa privacy a scrivere e leggere come su una scrivania ben protetti dalle mosquitos che gironzolano sibilanti. In serata usciamo a prendere qualcosa per le colazioni facendoci un bel pezzetto di strada in salita rivestita in porfido, guidati da una gentil donna in abiti tradizionali e bambino appresso che ci indica la strada per un bus in direzione. Arriviamo al Kigali Institute of Education (KIE), l'Università locale sorvegliata da militari armati -all'entrata e lungo tutto il perimetro-, a cui possiamo accedere lasciando un documento e prendendo un badge per visitatori. Un campus non enorme ma comunque ben sviluppato e curato, con alloggi per studenti e campi per praticare sport che ci fanno pensare a come possiamo avere avuto Palazzo Nuovo per anni, noi, a Torino.
  Usciamo e seguiamo con lo sguardo i militari indolenziti lungo la strada, per poi incappare dopo qualche minuto in una ennesima chiesa dove due pastori-rapper guidano una cerimonia che pare un contest per versetti sacri e sacred stuff. E' davvero singolare vedere gente in estasi tifante i botta e risposta dei due rappresentanti dell'africa occidentale ed orientale qui riuniti questa sera. Il caso ci ha portato nell'ennesima situazione che più antropofagica non si può e che potrà essere utile per la mia parte della ricerca dal punto di vista religioso. Mi presento al Pasteur, prendiamo appuntamento per fare delle riprese e delle fotografie e poi scappiamo via da quel covo di gentili invasati -come tutti gli altri, in effetti-. L'agenda s'infittisce di interviste, riprese, conoscenze nuove e numeri di telefono, appunti e considerazioni tanto che presto finirò la mia piccola cara moleskine.
     Uscire di casa e camminare senza bus è il miglior modo per vedere ed incontrare l'altro tanto discusso e sondato in esami con montagne di libri. Sulla via di casa ci chiama Marianne preoccupata che non ci fossimo persi -già prima d'uscire ci aveva proposto l'assistenza del suo domestico/nipote a tal fine- intervallata da Gonzagh che ci aspetta per una birretta e a cui proponiamo di comprarne un paio da consumare nel nostro nuovo place. Dopo aver fatto l'ultimo pezzo di strada rossa non asfaltata né illuminata, coperti dalla polvere alzata dalle mototaxi di passaggio, finiamo nel living room di Marianne in un allegro quadretto familiare. Intervalliamo francese ed inglese -con Gonzagh ponte tra il kinyarwanda se necessario- sbrodolando l'oggetto delle nostre ricerche, parlando dei permessi per allungare il visto e delle nostre origini, passando per diversi temi tra cui anche lo scontato genocide. Su quest'ultimo tema con i nostri giovani informatori non abbiamo riscontrato problemi finora, ed anzi Bonaventure ritiene che molti vogliano parlarne apertamente per liberarsi di un peso; in realtà ciò avviene solo tra locali, e gli stranieri devono sapersi creare i giusti canali per poter accedere a considerazioni etniche comunque vietate dal governo.
     Dopo aver bevuto una Primus ed una Mutzig, con Marianne preferente una panaché a base di Fanta, ci docciamo con acqua fredda e campioncini di sapone ritrovando le serenità dei sensi ma anche un abbiocco immediato. Saltiamo cena per bilanciare l'esagerazione del pranzo con Bonaventure, e dopo esserci scambiati i file della ricerca sul campo la giornata più lunga e fruttuosa finisce con la stesura del diario di bordo. Attività piacevole su un letto gigante solo per sé, con una sorta di zanzariera-canadese tutto attorno, con lo spazio per un libro di Fante e l'agenda con gli appunti presi in giornata, ricordando gli avvenimenti trascorsi con piacere ed interesse che lasciano le palpebre cadere lievi, appoggiate al cuscino rivestito dalla mia scarf colorata d'Istanbul. Tra il boyscout adolescente in tenda ed il colonialista ricco con pochi euro, tra l'antropologo bazzicante per il centro-Africa e il neo-adottato nipote della madame di casa, tra la sonnolenza e l'entusiasmo di scrivere righe su righe just for fun, just for memory, ma crollando dopo solo 5 minuti.



Ecco uno dei numerosi locali ove potrete sorseggiare la vostra Primus e/o la vostra Fanta con meno di 1000 rwf (pochi spicci più di un euro).

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