In mattinata riesco finalmente a visitare il museo IFAN dell'università
di Dakar ottenendo anche uno sconto da "residente cittadino". Pur non
amando troppo i musei etnografici colmi di oggetti decontestualizzati,
devo ammettere che questa mostra risulta molto efficace e ben seguibile
in tutti i suoi particolari grazie ad un'invidiabile sinteticità e ad un
buon gusto nella scelta degli oggetti esposti.
Sono particolarmente colpito dalle maschere funerarie e/o rituali provenienti da tutta l'Africa Occidentale capaci di creare immediatamente uno strano alone di "mistero esotico ed esoterico" da romanzo di viaggio nell'aria. Pensare che questi oggetti, dai feticci ai costumi, dalle statuette agli strumenti musicali, abbiano fatto parte di rituali per pochi iniziati (che stanno quasi totalmente scomparendo) li rende ancor più unici e degni di interesse. Deformazione antropofagica, si sà. Alcune proiezioni in una piccola stanzetta oscurata rappresentano stralci di rituali di passaggio senegalesi, proponendo anche delle proposte/soluzioni per far sì che non si perdano nell'oblio del tempo e nel disinteresse delle nuove generazioni.
Al primo piano dell'edificio dell'università di Dakar v'è una mostra temporanea dedicata al grosso problema della plastica. Il percorso museale investiga con efficacia come il Senegal abbia cambiato negativamente negli ultimi decenni ed in maniera (ir)-reversibile il suo paesaggio urbano e non solo. Un'installazione artistica rappresenta un albero ricoperto di sacchetti che poggia su un terreno in cui sono riconoscibili un vecchio televisore, un monitor rotto, resti di montagne di poubelle puzzolente. Un video mostra un incontro di lotta libera tra un muscoloso atleta senegalese e due sacchetti di plastica: nonostante l'eccellente forma fisica, il gigante è sconfitto dai sacchetti neri che gli entrano prima in una narice, poi gli coprono la testa soffocandolo. Il monito è chiaro, urlato a squarciagola dal telecronista dell'incontro: «sta al Senegal decidere cosa fare in questo momento!». La mostra prosegue con la riproduzione di alcuni luoghi conosciuti nella vita di tutti i giorni: un tavolo di un ristorante, un punto vendita ambulante di caffè solubile (ve ne sono molti in città), pezzi di arredamento in una casa dei giorni nostri (Africa o Europa, poca differenza su quest'ultimo punto). Il percorso si conclude con un parallelismo tra gli oggetti tradizionali ed i nuovi oggetti in plastica: imbuti, tazze, recipienti, bambole, borsette, valigie raccontano una storia dimenticata e sorpassata in favore della pura plasticaccia Made in China. La popolazione senegalese è invitata a tornare a consumare con oggetti in cuoio, ceramica, stoffa di produzione artigianale raffinata, bella, affascinante e soprattutto...biodegradabile, a differenza dei 400 anni necessari per la scomparsa di un singolo sacchetto.
Nel tardo pomeriggio mi concedo l'ultima corsetta dakaroise sfidando le lunghe onde sulla solita spiaggia della cornice, osservando incuriosito una piroga che giunge a riva con un conduttore molto preoccupato che continua a guardarsi le spalle da una nave della guardia costiera visibile in lontananza. Provando la solita paura di morire di fame prima di un lungo viaggio, ci concediamo una discreta abbuffata di "buon ritorno" con le specialità salate de "La Galette" ed un paio di birrette: «hai tempo per correre!».
Un ultimo sguardo al tramonto di Dakar, ai turisti bianchi bruciacchiati in aeroporto, un pensiero al destino ironico che la vita può proporci. Con due grosse occhiaie arrivo nella piovosa Torino con gli abiti adatti alla temperatura di Dakar, dovendo ancora affrontare un mini trasloco nella mia stanzetta/bugigattolo in
stile sabaudo. Non so per quale ragione, ma sto già pensando che tra un
mesetto ripartirò e le carte si dovranno nuovamente
rimescolare...deformazione semi-professionale o semplice curiosità per
il futuro?
Foto: "Trova le differenze tra Torino e Dakar" by Ntwari J. Pascal
Sono particolarmente colpito dalle maschere funerarie e/o rituali provenienti da tutta l'Africa Occidentale capaci di creare immediatamente uno strano alone di "mistero esotico ed esoterico" da romanzo di viaggio nell'aria. Pensare che questi oggetti, dai feticci ai costumi, dalle statuette agli strumenti musicali, abbiano fatto parte di rituali per pochi iniziati (che stanno quasi totalmente scomparendo) li rende ancor più unici e degni di interesse. Deformazione antropofagica, si sà. Alcune proiezioni in una piccola stanzetta oscurata rappresentano stralci di rituali di passaggio senegalesi, proponendo anche delle proposte/soluzioni per far sì che non si perdano nell'oblio del tempo e nel disinteresse delle nuove generazioni.
Al primo piano dell'edificio dell'università di Dakar v'è una mostra temporanea dedicata al grosso problema della plastica. Il percorso museale investiga con efficacia come il Senegal abbia cambiato negativamente negli ultimi decenni ed in maniera (ir)-reversibile il suo paesaggio urbano e non solo. Un'installazione artistica rappresenta un albero ricoperto di sacchetti che poggia su un terreno in cui sono riconoscibili un vecchio televisore, un monitor rotto, resti di montagne di poubelle puzzolente. Un video mostra un incontro di lotta libera tra un muscoloso atleta senegalese e due sacchetti di plastica: nonostante l'eccellente forma fisica, il gigante è sconfitto dai sacchetti neri che gli entrano prima in una narice, poi gli coprono la testa soffocandolo. Il monito è chiaro, urlato a squarciagola dal telecronista dell'incontro: «sta al Senegal decidere cosa fare in questo momento!». La mostra prosegue con la riproduzione di alcuni luoghi conosciuti nella vita di tutti i giorni: un tavolo di un ristorante, un punto vendita ambulante di caffè solubile (ve ne sono molti in città), pezzi di arredamento in una casa dei giorni nostri (Africa o Europa, poca differenza su quest'ultimo punto). Il percorso si conclude con un parallelismo tra gli oggetti tradizionali ed i nuovi oggetti in plastica: imbuti, tazze, recipienti, bambole, borsette, valigie raccontano una storia dimenticata e sorpassata in favore della pura plasticaccia Made in China. La popolazione senegalese è invitata a tornare a consumare con oggetti in cuoio, ceramica, stoffa di produzione artigianale raffinata, bella, affascinante e soprattutto...biodegradabi
Nel tardo pomeriggio mi concedo l'ultima corsetta dakaroise sfidando le lunghe onde sulla solita spiaggia della cornice, osservando incuriosito una piroga che giunge a riva con un conduttore molto preoccupato che continua a guardarsi le spalle da una nave della guardia costiera visibile in lontananza. Provando la solita paura di morire di fame prima di un lungo viaggio, ci concediamo una discreta abbuffata di "buon ritorno" con le specialità salate de "La Galette" ed un paio di birrette: «hai tempo per correre!».
Un ultimo sguardo al tramonto di Dakar, ai turisti bianchi bruciacchiati in aeroporto, un pensiero al destino ironico che la vita può proporci. Con due grosse occhiaie arrivo nella piovosa Torino con gli abiti adatti alla temperatura di Dakar, dovendo ancora affrontare un mini trasloco nella mia stanzetta/
Foto: "Trova le differenze tra Torino e Dakar" by Ntwari J. Pascal
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