sabato 25 agosto 2018

26-27 aprile 2014


Ci si prepara per una fuga al Lago Rosa, viaggetto comodo di circa un'ora lontano anni luce dalle traversate guineane fuoristrada-spaccaschiena per pochi coraggiosi volontari fuori di testa. Primissima cosa davvero rilevante da riportare: il lago non è affatto rosa. Pare infatti che le alghe poste sul fondo, prima causa della particolare colorazione, siano oggi troppo in profondità a causa dell'alta marea. In realtà, la prima impressione è che la casa editrice che distribuisce le guide turistiche abbia usato photoshop per creare ad arte un inganno turistico. La seconda è che in fondo, rosa o non rosa, rimane pur sempre un semplice lago.

Ben più interessante, invece, la nostra camminata sotto lo zenith solare per un piccolo deserto di sabbia finissima che arriva ad una sconfinata spiaggia. Ovvero, una follia. Per 250 chilometri, fino a Saint-Louis, la grande distesa bianca a bordo dell'oceano continua indisturbata la sua corsa confondendosi con la foschia creata dall'umidità atlantica, ben oltre l'orizzonte che si staglia di fronte i nostri occhi. Dopo aver mirato l'effetto ottico delle grandi onde che in lontananza sembrano inghiottire la terra arrivando invece ad infrangersi sulla riva a pochi centimetri sopra il ginocchio, il senso di sconfinata libertà di questo paradiso per menti solitarie, il vano tentativo di rappresentare tutto ciò con una serie di scatti fotografici, segue il ritorno a piedi nudi per la grande distesa del viaggio di andata. Morale della favola, si finisce per diventare dei gustosi polletti alla piastra sprovvisti di crema solare.

Passiamo in mezzo le saline del Lac Rose ove lavorano in settimana circa tremila persone, intontiti dalle proposte di souvenir e ricatti morali (con tanto di bambina piangente inviata dai genitori per addolcire i nostri cuori e portafogli) degli insistenti venditori sulla riva. Dopo aver conosciuto la differenza tra le numerose montagne bianche ammassate per utilizzi d'ogni genere, appreso le fasi d'estrazione artigianale del sale a bordo delle piroghe, compreso la pesantezza fisica di questa enorme mole di lavoro, ci rimettiamo finalmente in viaggio. Oltrepassiamo una grande vallata ove si stendono grandi baobab isolati, spogli ma imponenti, che dominano lo spazio attorno loro da centinaia di anni. Proseguendo in direzione dell'oceano arriviamo ad un locale di Thiès immerso nel grande inferno del caldo senegalese, gustando prelibatezze praticamente abbracciati al ventilatore per non soffocare nei +40 gradi, ma con lo spiacevole effetto collaterale di creare nient'altro che un vento bollente da profondo Sahara.

Nel tardo pomeriggio facciamo un piccolo tour nelle campagne limitrofe Thiès ove possiamo vedere - questa volta da vicino - un baobab ed un'acacia gigante, ove i contadini trovano ombra e riposso dopo una giornata di lavoro nei campi. Proprio qua sotto ci viene offerto del vino di palma dentro una zucca calabash: dopo aver sorseggiato la propria parte, è necessario condividere il contenuto con i presenti in altri gusci vuoti, così fino al termine del liquido alcolico, estratto in modo totalmente naturale dalla palma piantata a pochi metri di distanza.

A casa di Armando, lo strampalato aperitivo serale è a base di whisky, coniglio e salatini, inondato da Porto Cortez che rallegra il cuore - divenendo la mia nuova malsana abitudine - e rende ufficialmente il concetto di "aperò"del tutto relativo proprio qui, sull'equatore. Sulla stessa linea, il giorno seguente una "pasta alla bolognese" che dimostra ben poco d'italiano (mangiata mentre scorrono in TV le immagini romane della doppia canonizzazione papale, evento mediatico della giornata, intervallata a musica tradizionale islamica senegalese) revoca agli annali storici del gusto il concetto stesso di "pasta", in un anarchico gioco di decostruzionismo alimentare tanto esilarante quanto poco appetitoso.

Foto: "«...laggiù, troverete Saint- Louis»" by Mika von Puskjin.
 
 

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