lunedì 1 ottobre 2012

28 settembre, Day 66. La gitarella al nord Kivu e le scatolette Toyota 24 posti.

     La sveglia suona alle sette. Primo obiettivo è preparare una tazza di Nescafè, masterizzare dei cd, fare la copia di alcuni dati importanti, uscire di casa a razzo per rilegare i fascicoli e consegnare il tutto al Ministero. Il motard mi aspetta impaziente ma una volta che il mio plico è giunto a destinazione posso risalire in sella verso Nyabugogo, dove giungo in ritardo a causa di ulteriori piccole domande durante la consegna del materiale. Il cellulare non riconosce stranamente la mia sim, non posso avvertire dell'imprevisto e, morale della favola, si prende il bus delle 9.30 aggiungendo pure una colazioncina nei piccoli locali della stazione dei bus. Sul trabicolo Toyota da 24 posti capito nel posto peggiore, quello di fianco l'uscita: alza me, alza lo zaino mio e dei ragazzi tedeschi, apri la porta con una sicura del tutto farlocca, risiediti e così via per 6 fermate e 3 ore di viaggio. Ovviamente, lo schienale è rotto e la signora di fianco puzza di sudore. Sulla strada incontriamo anche dei controlli di polizia di dubbia utilità, mentre penso che viaggiare in Africa è tanto bello quanto unconfortable. Dopo due ore e mezzo ecco spuntare il Lake Kivu in lontananza: un mare che si perde all'orizzonte, dolce e ricco di gas metano, circondato da colline e con un enorme vulcano in lontananza, oltre Goma, oltre il confine così vicino col Congo.
     Arrivati alla stazione dei bus incontriamo la pétite amie di K. con la quale contrattiamo il prezzo per un alberghetto a 6000 rwf a notte ed in seguito facciamo pranzo con un insoddisfacente pesce preso dal Kivu e buttato intero direttamente sulla griglia (del tutto diverso dal gigante capitaine del lago Vittoria che mangiammo a Kigali). Aspettiamo un'ora per avere anche delle patate fritte, mais c'est normal. La pioggia si avvicina, feroce come il vento che si alza tirandoci negli occhi granelli di sabbia irritanti e soffocanti, in cerca di un ATM che non sia fuori servizio (risolvendo solo après mezz'ora con una BK dopo diversi giri, ritorni a casa, mototaxi e discese dello spirito della buona volontà).
   Attendendo K. ci dirigiamo al lago per dare un'occhiata al tramonto, esser colti da un enorme temporale e dallo sbalzo di temperatura non appena il sole se n'è andato a nanna. Ci reincontriamo per tornare a godere di una doccia in albergo e poi dritti a mangiare brauchette di carne in un locale di musica dal vivo dove assistiamo alle sculettate danzanti à la congolaise di alcuni ragazzi che farebbero gola ad “Amici di Maria de Filippi”. Ci dirigiamo verso il lago a piedi, una traversata fino ed oltre il Kivu Serena Hotel con visita alla frontiera, tanto facile da passare per i residenti quanto difficile per muzunghi sprovvisti di visto come me. Poco male, dall'altra parte c'è Goma ed i suoi tre morti ammazzati -come riferitoci in diretta da tre ragazze tornate dal Congo-. "Direi di rimanere in Rwanda, no problem guys", ripeto con K. scherzando per sdrammatizzare sull'argomento.
   Si ritorna indietro verso casa omettendo un deserto White Horse con entrata a duemila franchi rimpiazzato dal danzerino Galaxy per birra, salti sul posto ed improbabili vecchiette scatenate in pista. Flotte di mototaxi-spilla-soldi aspettano nel cuore della notte i clienti desiderosi di tornare a casa. La stanchezza del viaggio si fa sentire: chapati, chiacchiere senza luce ed il più totale black-out. Così l'orologio corre e le palpebre si chiudono.




    Comincia il diluvio, si corre al riparo. Foto Maichi Ntwari Pashcal.

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