Annibale
bussa fragorosamente alla mia porta, un delitto dopo sole 4 ore di
sonno o poco più. Si cerca un posto per colazionare dopo aver
impacchettato per bene gli zaini accatastandoli in uno stanzino
dell'alberghetto con finte colonne dipinte a mano: riusciamo ad
ficcarci nel peggiore localetto islamico della cittadina, dove due
ragazzi tentano di fregarci soldi rivendendo chapati e
tortine comprate per strada. Penosi cambi di prezzo e storielle
inventate sul momento, attese estenuanti e tentativi improbabili di
cambiare gli accordi: si accontenteranno del prezzo reale della merce
solo dopo un'altra mezz'ora di estenuanti dialoghi fondati sul nulla,
specialità dei poveretti
di mezzi e di spirito non solo in Africa.
Usciamo
per la camminata in montagna voluta dai compagni germanesissimi su,
per i bricchi che partono dalla strada in direzione Kivu, dove
montano decine di persone senza poter vedere la loro destinazione.
Facciamo foto al lago da un magnifico punto di vista ed i rwandesi,
nel loro solito stile, ci domandano soldi senza ragione alcuna se non
l'esser bianchi. Qualcuno ha anche la bramosia di farsi immortalare
sotto lauta ricompensa senza che nessuno di noi l'abbia richiesto.
Svincoliamo queste noie salendo per una ripida salita e vedendo un
villaggio in lontananza, fantasticamente incorniciato da nuvole
leggere come panna montata e verdi colline dai riflessi giallastri.
La promenade è molto
trafficata in entrambe le direzioni e con merci poste sui capoccioni
con un pezzo di stoffa a far da cuscinetto; bambini piccoli scappano
alla vista degli uomini bianchi, alcuni terrorizzati come non mai,
con le risa degli adulti del villaggio divertiti dalla scenetta.
Altro che paura da uomo nero nell'armadio...i bianchi sono vivi,
vegeti e davanti casa nostra!
Merlino compra
un bastone di canna da zucchero che domanda di pulire gentilmente con
un machete arrugginito.
Sarà K. a mostrargli come proseguire nella difficile arte
dell'apertura del duro tubero, mentre io fotografo tavolacci di legno
colmi di pezzi di carne macellata, pieni di sangue e mosche e
vigilati da un ometto con un grembiule sporco di schizzi rossi. Direi
che le macellerie di questi luoghi non seguono proprio la nostra idea
di regolamentazione igienica come nemmeno, di fatto, i pescetti stesi
su un pezzo di carta al sole per diverse ore prima d'esser venduti.
Una
mezza discussione con un vecchietto pretendente cento franchi per le
foto prese alla sua casetta -suggeritogli da una giovane donna che si
avvicinerà di proposito-. Nessun problema, queste foto valgono in
ricordi e qualità di scenario. Si ripagano i cittadini anche
comprando qualche banana a dei piccoli venditori ambulanti,
attorniati da decine di bambini prima spaventati dall'obiettivo e poi
impazienti di finirci dentro.
Il
sentiero di ritorno passa per campi di fagioli stesi su una collina,
bananeti a perdita d'occhio ed un sentiero privato lastricato in
roccia di qualche chiesa pentecostale su cui finiamo per caso e da
cui dobbiamo uscire perché privi di permesso. Qui in Rwanda c'è
bisogno di una lettera di permesso davvero per qualsiasi cosa. Questa
scampagnata davvero bella termina con un ritorno sulla spiaggia dopo
una camminata di 25 minuti sull'asfalto, qualche chapati
(un rito quasi obbligato) ed una capatina al Serena Hotel per una
maggiore sicurezza degli zaini durante i nostri bagnetti pomeridiani.
Qui ci insediamo su grandi sedione in stile reale sotto un'enorme
magnolia centenaria, evitando anche di prendere da bere – il posto
non è del tutto economico, direi- per fortuna più o meno casuale.
Colpo
di scena: un serpente è avvistato in acqua e si dirige verso la
spiaggia. Sono mobilitati una canoa a remi, un motoscafo, un
supervisore, mentre una folla di gente s'accalca a guardare per
un'ora intera tutte le fasi di cattura della povera pericolosa
bestiola con la strana idea di fare il bagnante proprio nell'ora di
punta. Grandi risa per la caduta dell'uomo della canoa dopo aver
tentato con un remo di rompere la testa all'invasore: a seguire, fuga
disperata nuotando verso il motoscafo come un sacco di patate dolci
divenuto da predatore a preda in pochi secondi.
L'orologio
corre, sono già le quattro del pomeriggio e si deve tornare alla
capitale. Si rifanno i bagagli, si riempie lo zaino e poi dritti con
una moto alla stazione dei bus.
Biglietto
a 3000rwf per tre ore di scomodità Kigali Bus Service, piogge
torrenziali nell'oscurità e vicini di posto che vanno, vengono, mi
schiacciano con i loro abiti bagnati e le loro grossa braccia
ciccione, mentre prego di arrivare finalmente in città per poter
muovere di nuovo le gambe. Dopo esser finalmente giunto nella casa
che mi appresto a lasciare domani, giunge il Dorigatto updating
me sulle sue sventure,
preparante una pasta tonno+pomodoro e arrabbiata con gli dei per il
suo destino avverso.
Nell'oscurità della cameretta mi dedico alla stesura del blog, all'ascolto di musica che poco ha a che fare con l'Africa, al pisolino ristoratore ed infine al sonno profondo.
Nell'oscurità della cameretta mi dedico alla stesura del blog, all'ascolto di musica che poco ha a che fare con l'Africa, al pisolino ristoratore ed infine al sonno profondo.
"Villaggio mio che stai sulla collina [...]", Foto Maichi Ntwari Pashcal.
Nessun commento:
Posta un commento