Bagagli in carrozza, un caffè di sfuggita e tutti in moto verso il
confine. Dopo circa un'ora e mezza di viaggio arriviamo alla frontiera
liberiana ove incontriamo un tizio che sfoggia una maglietta con
stampata la frase "money rulez" e numerosi agenti appartenenti a diversi
uffici. Riusciamo a proseguire dopo non pochi "sghiribizzi burocratici"
per incontrare circa 9 posti di blocco dell'immigrazione
lungo la futura autostrada verso Monrovia, costruita da una potente
compagnia cinese. In un eterno replay di controlli snervanti a cui ci si
deve abituare, volente o nolente, ascoltiamo la discografia di Lucio
Battisti che scorre quasi completa tra escavatrici, camion, polvere,
catrame, giubbetti di segnalazione e deviazioni stradali. Noto il mio
braccio arrostito messo fuori dal finestrino solo quando entriamo in
città alle 18.49 passando per la sbarra di controllo dans la banlieu de
la ville. Al crepuscolo il traffico d'inferno monroviano è composto da
macchine, carretti, persone, animali, moto, bancarelle, un taxi giallo
spinto da guidatore e passeggeri, alcuna precedenza a destra o sinistra,
moto con quattro persone in sella senza casco. Grandi viali illuminati
sembrano quasi riportarci all'altro mondo, quello in cui viviamo, tra
strade asfaltate, stazioni di servizio e semafori, anche se è palese la
fortissima influenza statunitense. Arriviamo all'albergo chinese
old-style (con addobbi natalizi appesi ancora a marzo) di Monrovia: di
certo, uno stimolo alla vostra immaginazione alberghiera. Cena con tofu,
riso bianco e verdure, viande de boeuf per il nostro chaffeur. A
seguire beviamo due birrette fresche ed un'aranciata navigando con una
rete wi-fi allacciata all'occorrenza dalle simpatiche cameriere
sinoliberiane mentre su un televisore al plasma scorre una pellicola
(cinese) che sembra non dover finire mai. Pur essendo pieni di
situazioni improbabili ed attori di dubbia qualità, per qualche assurda
ragione questi film riescono ad incollarti allo schermo. Fino a quando
si rinsavisce e ci si pone la domanda: «ma cosa diavolo sto guardando?»,
ritrovando al contempo negli oggetti, nelle abitudini e
nell'arredamento molti piccoli indizi della cultura cinese esportata in
Africa (e non solo).
Foto: "Piccoli incidenti di percorso" by Ntwari J. Pascal
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