sabato 25 agosto 2018

27 marzo 2014

Bagagli in carrozza, un caffè di sfuggita e tutti in moto verso il confine. Dopo circa un'ora e mezza di viaggio arriviamo alla frontiera liberiana ove incontriamo un tizio che sfoggia una maglietta con stampata la frase "money rulez" e numerosi agenti appartenenti a diversi uffici. Riusciamo a proseguire dopo non pochi "sghiribizzi burocratici" per incontrare circa 9 posti di blocco dell'immigrazione lungo la futura autostrada verso Monrovia, costruita da una potente compagnia cinese. In un eterno replay di controlli snervanti a cui ci si deve abituare, volente o nolente, ascoltiamo la discografia di Lucio Battisti che scorre quasi completa tra escavatrici, camion, polvere, catrame, giubbetti di segnalazione e deviazioni stradali. Noto il mio braccio arrostito messo fuori dal finestrino solo quando entriamo in città alle 18.49 passando per la sbarra di controllo dans la banlieu de la ville. Al crepuscolo il traffico d'inferno monroviano è composto da macchine, carretti, persone, animali, moto, bancarelle, un taxi giallo spinto da guidatore e passeggeri, alcuna precedenza a destra o sinistra, moto con quattro persone in sella senza casco. Grandi viali illuminati sembrano quasi riportarci all'altro mondo, quello in cui viviamo, tra strade asfaltate, stazioni di servizio e semafori, anche se è palese la fortissima influenza statunitense. Arriviamo all'albergo chinese old-style (con addobbi natalizi appesi ancora a marzo) di Monrovia: di certo, uno stimolo alla vostra immaginazione alberghiera. Cena con tofu, riso bianco e verdure, viande de boeuf per il nostro chaffeur. A seguire beviamo due birrette fresche ed un'aranciata navigando con una rete wi-fi allacciata all'occorrenza dalle simpatiche cameriere sinoliberiane mentre su un televisore al plasma scorre una pellicola (cinese) che sembra non dover finire mai. Pur essendo pieni di situazioni improbabili ed attori di dubbia qualità, per qualche assurda ragione questi film riescono ad incollarti allo schermo. Fino a quando si rinsavisce e ci si pone la domanda: «ma cosa diavolo sto guardando?», ritrovando al contempo negli oggetti, nelle abitudini e nell'arredamento molti piccoli indizi della cultura cinese esportata in Africa (e non solo).

Foto: "Piccoli incidenti di percorso" by Ntwari J. Pascal


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